La Saga delle Fesserie, che sullo scorcio di questa estate balenga ha affittato il sorriso vagamente ebete e i bianchi denti voraci del capocannoniere degli ultimi mondiali, Ronaldo, insegnerà qualcosa a qualcuno? Credo proprio di no. Non insegnerà niente a nessuno. Se la ricorderà qualcuno, l’impudenza con la quale i dirigenti del nostro calcio hanno chiesto lo “Stato di crisi”, cioè soldi a fiumi dal pubblico erario? Credo proprio di no. Non ce la ricorderemo. Non se lo ricorderà nessuno. Torneremo ad applaudirli e ad appassionarci per le loro giocate. Tornerò. Avessimo almeno imparato a non fare più il tifo. Avessero, Ma si può fare tifo, sgolarsi, impallidire, esplodere per questi giocolieri da Circo, che guadagnano in un paio di mesi quanto un trapezista guadagna in una vita!? Avessimo almeno imparato a non fare più il tifo! Avessero. Nesta fino a ieri era la bandiera della Lazio: c’è rimasto solo il palo. Avessimo almeno imparato a non fare più il tifo! Avessero. Dico “Avessero” perché io ho imparato per tempo a non fare tifo. Io mi appassiono per il calcio, ma non faccio tifo. Non lo faccio da quel 4 maggio 1949 quando…; sissignori, da 53 anni, e anche. Uscivamo, noi piccoli seminaristi lindi nella divisa nera col candido colletto romano a fior di collo, dal fioretto del mese di maggio. Quel giorno il grande Torino arse nel rogo dell’aereo che lo riportava dal Portogallo e che si schiantò contro un fianco del colle di Superga. Sono morti tutti!! Tutti! Ce lo gridò qualcuno, da una finestra della casa di fronte alla chiesa, mentre uscivamo dalla chiesa, contenti perché il fioretto era stato bello e ancora più contenti perché era finito. Sono morti tutti!! Tutti! Bagigalupo, Ballarin Maroso; Grezar, Rigamonti, Casigliano; Menti, Loik, Gambetto, Mazzola, Ossola. Li ho citati a memoria, tutti d’un fiato, lo giuro. Sono morti tutti!! Tutti! Piansi a lungo, la notte, nel silenzio buio del camerone dei piccoli. E piansi a lungo, giorni dopo, quando Niccolò Carosio fece la cronaca del loro funerale, e Colombo tenne un’orazione funebre che l’Italia intera ascoltò col pianto in gola. Avevo 11 anni e non avevo mai scordato, da anni, nelle preghiere che facevo dopo la comunione quotidiana, di chiedere a Gesù che il campionato lo vincesse il Torino. Cinque ne vinse, di campionati, il Grande Toro: cinque, prima di ardere, e io credevo che in proposito un qualche merito, anche se minimo, ce l’avevo anche io. Non feci più tifo. Non riuscii più a fare il tifo.