La nostra terra si muove. Non passa generazione che non sperimenti la paura del terremoto, ora in modo più forte, ora meno forte, ma tutti noi in quei momenti facciamo, e abbiamo fatto, esperienza della precarietà della vita. La vita delle 300 vittime del sisma del 24 agosto scorso, anzitutto, ma anche la vita intesa come lo svolgersi quotidiano dei giorni nelle case, con i familiari e gli amici, con le attività di lavoro e ricreative, con le nostre comunità parrocchiali o il nostro gruppo di volontariato o di teatro…
La vita, insomma, quella che le migliaia di sfollati hanno avuto salva, ma, anch’essa, tutta da ricostruire come le case. Non sarà facile. Passeranno mesi prima che le scosse cessino e che lo Stato (Governo e regioni) possa dire ai suoi cittadini come e in che misura potranno essere aiutati a ricostruire non solo le case ma tutto quanto è comunità di paese, di città, di campagna.
Lo abbiamo vissuto nel 1997, e il ricordo è ancora vivo. “Prima le case, e le attività produttive, poi le chiese”, dissero i vescovi di allora, aggiungendo, però, che la ricostruzione delle chiese era necessaria non solo per la comunità dei credenti ma anche per ridare speranza ad una economia che ha nel turismo una voce importante. Le parole d’ordine erano ‘fare presto e bene’, ma il ‘presto’, avvertivano, non sarebbe stato uguale per tutti perché, per esempio, una cosa è intervenire su un edificio moderno o isolato, altro è intervenire in centri con le case addossate le une alle altre… E nell’attesa fu fatta la scelta di non allontanare le persone dal luogo in cui volevano continuare a vivere.
Oggi la storia si ripete. Siamo di fronte alle stesse scelte e la richiesta della gente umbra è ancora la stessa: lasciateci vivere vicino alle nostre case. Una richiesta che l’arcivescovo di Spoleto – Norcia mons. Renato Boccardo ha fatto sua raccogliendola dalla voce della gente della sua diocesi per riportarla alle autorità con le quali ha avuto modo di incontrarsi in questi giorni. Richieste che anche la Presidente della Regione Catiuscia Marini ha portato al tavolo con il Governo e che il premier Matteo Renzi sembra aver raccolto annunciando, lunedì scorso al termine del Consiglio dei Ministri, le 4 fasi, “quella dell’immediata emergenza, nella quale chiederemo a chi può di lasciare il territorio, sapendo che sarà un periodo molto limitato; una fase intermedia, quella del container, che sono meno piacevoli della casetta di legno; quella in cui tra 5-6 mesi, tra la primavera e l’estate le persone potranno tornare in casette di legno; la fase di ricostruzione”.
In questo susseguirsi di eventi la Chiesa tiene ferma l’attenzione alle persone, a cominciare dalla diocesi più colpita, quella di Spoleto-Norcia, con il suo arcivescovo, mons. Renato Boccardo, e i suoi sacerdoti, quelli delle zone terremotate in primis. Da quando sono iniziate le scosse la contabilità dei danni alle chiese si è allungata fino a registrare la completa distruzione di chiese che sono simbolo e cuore delle comunità, accanto a case che non sono crollate, salvando la vita ai loro abitanti, ma non sono più accessibili o agibili, con interi centri evacuati se non distrutti dal sisma.
Ma la gente umbra, come nel 1997, non vuole abbandonare la propria terra, e i preti sono con loro, sfollati tra gli sfollati. Don Luciano Avenati a Sant’Eutizio e don Marco Rufini a Norcia, don Salvatore Piga e don Antonio Diotallevi, che hanno seguito quella parte della loro gente che è andata negli alberghi del Trasimeno. Sono, per così dire, il nucleo già operativo del progetto che il vescovo Boccardo vuole realizzare con i preti della sua diocesi e con l’aiuto dei volontari di altre diocesi che già si sono fatti presenti: stare accanto alla gente.
Mons. Renato Boccardo la mattina del 30 ottobre ha raggiunto in mattinata Norcia e gli altri centri abitati dell’Archidiocesi per essere vicino alla popolazione. “Siamo profondamente scossi, feriti nel fisico e nel morale – ha commentato – ma non dobbiamo cedere alla paura e alla rassegnazione. Ringraziamo Dio che ancora una volta ha protetto tante vite umane. Con l’aiuto di tutti bisogna guardare avanti. Le parole servono a poco, le persone vanno abbracciate e incoraggiate a ripartire nuovamente”.
Con il contributo della rete nazionale della Caritas sarà presto allestito anche un presidio Caritas a Norcia per portare assistenza materiale, ma soprattutto vicinanza e sostegno morale alle persone. Sarà un “Centro di comunità” di Caritas italiana gestito dalla Caritas di Spoleto-Norcia e dalla Delegazione Caritas umbra con la presenza di volontari e operatori per un lungo periodo, fino a primavera inoltrata. Si tratta di “una presenza concordata con l’arcivescovo Boccardo e con i parroci della zona – spiega il delegato regionale Caritas Giorgio Pallucco –, che aiuterà a monitorare la situazione e far fronte ai diversi bisogni di quelle persone che vivono non solo a Norcia ma in tante piccole frazioni, il cui sostentamento è in prevalenza l’allevamento e l’agricoltura e che non possono lasciare la loro casa e azienda”.