Per la prima volta dopo la crisi del 2011 (che comportò la fine dell’ultimo governo Berlusconi e il subentro del governo “tecnico” di Monti) avremo ora un governo basato su una solida maggioranza parlamentare, a sua volta uscita da un univoco risultato elettorale. E questo promette stabilità.
Tuttavia, si può ricordare che la maggioranza vincente di questi giorni è molto simile a quella che vinse nel 1994, salvo che per una diversa distribuzione di forze al suo interno; ma a sorpresa durò pochissimo, perché una delle sue componenti (la Lega allora guidata da Bossi) se ne tirò fuori. Infortunio che da allora si è riprodotto parecchie volte a danno dei vari governi che si sono succeduti nel tempo: tutti caduti perché sabotati dall’interno.
Per ora, comunque, diamo per certa la stabilità del governo che sarà presto nominato. Che politica farà? Nell’immediato, dovrà trovare rimedio a una serie di problemi tanto gravi, che molti suggeriscono, maliziosamente, che Letta abbia fatto apposta a perdere. Prima di tutto, la imminente carestia energetica, che oltre ai disagi per la popolazione potrebbe fermare le fabbriche e con esse l’intera economia. E poi, i venti di guerra che continuano a spirare e che rendono sinistramente realistiche le minacce di Putin. E ancora i cambiamenti climatici che devastano i territori.
La soluzione di questi problemi ammesso che esista – non è nelle mani di un governo solo, per quanto volitivo come la sua presumibile capa: dovrà essere trovata, per forza, su scala continentale o anzi planetaria. Mai come ora (ma lo avevamo già visto con la pandemia) vediamo che è impossibile lo “splendido isolamento” di una nazione fiera della sua sovranità. Di fronte a problemi spietatamente transnazionali la ricetta del sovranismo è impotente. Peggio ancora se i paesi sovranisti sono parecchi: volendo rafforzarsi si indeboliscono a vicenda.
Del resto molti pensano, non del tutto a torto, che anche all’interno del nostro Paese le autonomie regionali, spinte oltre certi limiti, hanno prodotto più danni che vantaggi. Bisogna ragionare sempre più in termini di “umanità” più che di nazione o di campanile.