Nei giorni scorsi presso l’Itis di Gubbio (per gli studenti) e l’aula magna dell’Istituto d’arte della stessa città, in serata, (per tutta la popolazione) si è svolto un interessantissimo dibattito-incontro tra due rappresentanti dell’universo femminile appartenenti al mondo israeliano e a quello palestinese. Faccia a faccia a rispondere alle domande della gente, Ruth Hiller, dell’Associazione antimilitarista “New Profile” e della Coalizione delle donne israeliane per la pace e Rania Hammad, scrittrice e giornalista palestinese, autrice del testo Palestina nel cuore, di prossime uscita per i tipi della Feltrinelli. Ne è venuto fuori un bel dibattito, con notizie di prima mano, fra due donne coinvolte nel conflitto che sta insanguinando il medioriente, ma che hanno portato un messaggio di pace e hanno mostrato che può esserci un’altra via al conflitto armato e alla violenza. Rania ha parlato subito dei campi profughi palestinesi (che sarebbero trasformati in veri e propri ghetti n.d.r.) e della disperazione dei giovani, senza lavoro,senza prospettive e “marcati” come bestie dalla polizia israeliana. “La mia città fa parte di quelle terre occupate da Israele e quindi non potrò tornare da persona libera nella mia patria”. Tutto il conflitto per Rania ruoterebbe attorno al diritto dei palestinesi a ritornare sulla loro terra; diritto promesso e sempre negato nei fatti. “E’ indubbio che l’Olocausto ha avuto grossi effetti sulla nascita dello Stato d’Israele, un popolo che doveva avere una terra, ma che sta colonizzando sempre più territori, contro tutti gli accordi internazionali”. E gli attacchi kamikaze, i giovani palestinesi che si fanno saltare in aria pieni di esplosivo, provocando stragi immani fra la gente? “Hanno perso il senso della vita, per questo saltano in aria! La loro vita è ridotta a quella di bestie; nella miseria, nella fame e nella povertà, in quella che è la loro terra”. Secche e dure come pietre le parole di Rania. A lei ha fatto eco un’israeliana che ha scelto, assieme alla sua famiglia, la strada del rifiuto della guerra e delle armi. Ruth Hiller, ha parlato del figlio che ha rifiutato il servizio militare (e per questo è finito in carcere), delle migliaia di israeliani che in cuore loro vorrebbero fare altrettanto e dei tanti appelli all’Alta Corte Israeliana – che ancora non si è pronunciata – per permettere a coloro che non vogliono chiudersi nella carriera militare di poter svolgere un servizio civile come avviene in tanti altri stati. Ruth Hiller, assieme ad altre mamme israeliane, si è impegnata a creare questa organizzazione che si chiama “New Profile”, che vuol dare una nuova immagine di Israele al mondo, che non sia solo quella di uno stato militarista. “Più del 24% dei ragazzi e ragazze (perché il servizio militare è esteso anche alle donne n.d.r.) annualmente chiamati nell’esercito non sono contenti e il 20% di quelli che vanno nell’esercito lasciano prima di aver finito il servizio. Molti di noi non ne possono più della guerra, delle armi, di questa cultura di morte che respiriamo fin da piccoli!” La Hiller ha affermato che molta gente in Israele vuole poter fare scelte pacifiste. “New Profile” vuol dare informazioni, vuol discutere, vuole aprire dibattiti con chi è contrario a queste scelte basate solo sulla guerra e sulla contrapposizione. “Violenza produce solo violenza, e la violenza produce solo morte!” ha detto Ruth. “Israele deve almeno assumersi la responsabilità del 50% di ciò che sta accadendo! In una cultura di morte, si parla sempre e solo di eroi – che sono uomini morti! -. “Noi dobbiamo santificare la vita che Dio ci ha dati e non esaltare una cultura di morte. Io sono una madre che si vuol ribellare a questo meccanismo perverso a cui siamo stati educati fin da piccoli”.
Donna israeliana e palestinese: un incontro possibile per la pace
All'Itis di Gubbio un dibattito sulla drammatica situazione in Palestina
AUTORE:
Fabrizio Ciocchetti