Per un trapianto di fegato serve una quantità di sangue pari a quella prelevata con 200 donazioni. La scienza e la medicina fanno passi da gigante per proteggere la nostra salute, ma non sono ancora riuscite a “inventare” qualcosa in grado di sostituire il sangue umano, indispensabile per tanti unterventi e terapie. Nei nostri ospedali, e non soltanto per le emergenze, serve tanto sangue, eppure le donazioni sono sempre di meno.
Succede in tutta Italia, ma in Umbria va ancora peggio. Nella classifica che registra in percentuale questo progressivo calo di generosità e di civiltà degli ultimi anni, la nostra regione sale sul ‘podio dei peggiori’ dopo Valle d’Aosta e Basilicata. Un processo cominciato nel 2015, dopo che per più di dieci anni i centri di prelievo in Umbria avevano visto crescere costantemente e poi stabilizzarsi (tra il 2011 e 2015) il numero di donatori e donazioni. Nel periodo 2015-2016 il calo delle donazioni in Italia era stato dello 0,32 per cento; in Umbria invece di circa il 5 per cento.
Una tendenza che continua anche sulla base dei dati del gennaio scorso registrati dall’Avis, l’associazione di volontari che raccoglie il 98 per cento delle donazioni di sangue in Umbria. “Se questa tendenza si consolida – dice a La Voce il presidente regionale Andrea Marchini – dobbiamo essere molto preoccupati”.
Nei nostri ospedali servono 50.000 donazioni all’anno. Nel 2017 sono state meno di 40.000. Erano state quasi 41.000 nel 2016 e 43.000 nel 2015. Marchini comunque tiene a precisare che certo esiste “una carenza” di donazioni per l’autosufficienza dei nostri ospedali, ma fino ad ora non si sono verificate “emergenze”, anche perché, quando il sangue manca, alcuni interventi programmati ma non urgenti vengono rinviati.
L’Avis, con 32.500 donatori, è presente con sedi proprie in ben 65 degli oltre 90 Comuni umbri. “Con un paio di donazioni all’anno da parte dei nostri volontari – spiega il presidente Avis – potremmo raggiungere ampiamente l’autosufficienza di sangue. Ma questo non avviene perché ci sono donatori poco costanti, o che addirittura scompaiono dopo la prima donazione, e per il mancato ricambio generazionale. Le donazioni dei giovani, per una serie di ragioni che stiamo studiando, sono sempre meno”.
L’Avis continua il suo impegno di sensibilizzazione su questo problema coinvolgendo, anche con specifiche convenzioni, enti locali, associazioni sportive, grandi aziende. È pronta anche una convenzione con la Conferenza episcopale umbra per il coinvolgimento delle parrocchie, con l’intenzione di fare altrettanto con organizzazioni di altre religioni. È in corso inoltre un confronto con la Regione su una serie di problemi organizzativi la cui soluzione, secondo l’Avis, potrebbe agevolare donazioni e donatori.
Tra questi problemi, in sintesi, vi è la carenza di “personale non occasionale” nei centri di raccolta del sangue, la necessità di sedi più accoglienti, orari più consoni alle esigenze di chi lavora con aperture anche pomeridiane e domenicali, l’ampliamento e miglioramento di un servizio prenotazioni per i donatori.
Sono stata donatrice per una vita. A 65 anni, età massima per le donazioni, sono stata liquidata con una semplice frase: ora la cancelliamo dalla nostra lista perché non è più idonea alle donazioni e non avrà più controlli da noi. Sono rimasta basita per il modo con cui Avis tratta i donatori alla fine del rapporto, non solo lo fa di colpo sentire un essere inutile da rottamare ma neppure lo segue nel resto della sua vita. Perché il nostro governo non tratta così i parlamentari che hanno tutto gratis e manco si curano di donare sangue? Comunque se prima spronavo i giovani a donare ora me ne sto zitta per non deluderti in futuro.
Giovanna