Don Vitto’, se po?

“No, non si può”, lui risponde in italiano alla domanda posta in vernacolo: “Don Vitto’, se po’?”. Lui è don Vittorio Peri, che quando “tiravano” i monsignori era tra i primi della nostra regione; e oggi, felicemente depauperato di quel titolo che Papa Francesco ha riposto nel cassetto, lo è anche di più.

Si può? Non si può! Domanda e risposta fanno riferimento a diverse diciture della santa messa che, a mente di molti di noi pretucoli, meriterebbero di essere cambiate.

Finché la messa era in latino, era possibile ingoiare incongruenze anche rilevanti grazie a quella nebbiolina nella quale il latino immerge ciò che dice, almeno per coloro che lo piluccano appena, senza averlo mai capito a fondo.

Fu grazie a quella nebbiolina che, a suo tempo, mio cugino Silvano buttò sù una… agudeza fatta a mano, ma non spregevole. Disse: “Certo che questo Etenenosse doveva essere un gigante, se al momento della dipartita dovette essere sistemato in du’ casse ”. Agudezas, amenità da dimenticare appena dette.

Ma il discorso cui ho sopra accennato è ben serio sul piano di una corretta esegesi mistagogica, di quella crescita della coscienza cristiana che è legata alla celebrazione dei sacramenti.

Da quando, con l’avvento della messa in italiano, quell’ et ne nos inducas in tentationem è diventato “e non c’indurre in tentazione”, chi prima chi dopo abbiamo tutti storto il naso. Perché il verbo “indurre” nell’uso della nostra lingua è sempre più scivolato dal colloquiale al penale. Indurre alla prostituzione. Indurre al caporalato. Indurre alla trasgressione.

Certo, l’atmosfera complessiva che la più bella preghiera del mondo inevitabilmente crea, ci mette in grado di evitare, nella recita concreta di quelle parole finali, il senso deteriore che sicuramente in altri contesti s’imporrebbe. Però a volte, quasi di soprassalto, capita di domandarsi: ma che cosa sto dicendo? Lui ci ha detto di chiamarlo Padre, e io lo prego di non farmi del male?

Poi quel poco di riflessione critica che ancora conserviamo, come retaggio d’un passato ormai remoto, ci fa fare il cammino a ritroso, e tutto quadra.

Ma quando verrà pubblicato il nuovo Messale? Me lo chiedo per due motivi, uno confessabile e confessato (quello che ho esposto qui sopra), l’altro confessabile e inconfessato: vorrei che il 16 maggio di ogni anno venisse riportata a liturgia della chiesa universale quella messa di sant’Ubaldo vescovo che da tempo ne è stata esclusa.

Fanatismo da eugubino d’antan? Può darsi. Ma prima di canonizzare questo vostro giudizio leggetevi, please, la prossima Abat jour.

 

AUTORE: Angelo M. Fanucci