Nell’ora più grave, i giapponesi hanno dato al mondo una lezione formidabile di compostezza, determinazione e solidità. È quella che, con espressione efficace, è stata definita “la disciplina del dolore”: così il card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei, ha ricordato nella parte introduttiva della sua prolusione ai lavori del Consiglio episcopale permanente a Roma, la testimonianza del popolo giapponese colpito da una grave catastrofe ambientale. Di fronte a questo evento eccezionale, ha sottolineato, “dovremmo riscoprire tutti il senso della nostra costitutiva finitezza, della intrinseca fragilità delle cose, e quindi sentirci più umili, più vicini, più solidali”. Vari i temi affrontati nella prolusione. Dopo aver notato come sia “strana l’idea che la conversione sia un atteggiamento di debolezza, per psicologie tristi”, mentre in realtà rappresenti “il passaggio dall’opacità, dal grigiore, dall’ombra alla luce”, il Cardinale ha voluto tornare sulle recenti celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia, ricordando “la vocazione singolare che il Signore Iddio, nella sua provvidenza, ha inteso assegnare a questa terra benedetta” e il contributo offerto alla sua costruzione come Paese unito dalle “innumerevoli storie di dedizione laicale e sacerdotale”. A questo riguardo ha poi ammonito gli italiani dai rischi di soccombere alla “sindrome degli ‘arrivati’”, secondo cui “una volta che è stata raggiunta una certa soglia di benessere e sicurezza, debba venir meno la buona tensione che ci fa essere vigili per non perdere proprio i valori che concorrono oggi a darci un volto, e in passato hanno fatto la nostra storia”. Emergenza comunitaria. Il Presidente della Cei ha parlato anche della grave situazione in diversi Paesi dell’Africa del Nord e del bacino del Mediterraneo, in particolare il conflitto in atto in Libia (vedi box). Il Cardinale ha poi descritto le gravi minacce e gli attentanti alla libertà religiosa, specie verso i cristiani, in diversi Paesi, richiamando in particolare il ministro pakistano Bhatti, “ora martire” lo ha definito, dopo il suo assassinio per odio religioso. Sulla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sul crocifisso, ha sottolineato che “il simbolo religioso non comporta in sé una lesione dei diritti”, anzi è “un elemento integrante l’identità italiana e, dunque, a questo punto anche europea”. Non “scomuniche” ma “dialettica”. I casi del disagio presenti in Italia, in particolare l’emarginazione dei Rom con la tragica morte dei quattro bambini alla periferia di Roma, sono stati richiamati dal Cardinale per ricordare l’esigenza di “piani graduali di accompagnamento” e d’integrazione. Ha quindi svolto riflessioni sul ruolo educativo della scuola, pubblica e paritaria, richiamando l’esigenza di una “alleanza educativa tra quanti, affiancando i genitori, si spendono per la crescita intellettuale, morale e umana delle nuove generazioni”. Largo spazio ha voluto dedicare al dibattito politico in corso, richiamando alcune evidenze nazionali: “Disoccupazione specialmente giovanile e femminile”, “differenziale tra Nord e Sud d’Italia”, produttività, imposizione ed evasione fiscale, corruzione e amministrazione della giustizia, insicurezza del territorio e fabbisogno energetico. In merito ha detto che “più che di scomuniche reciproche, la collettività ha bisogno di una seria dialettica, che esalti i ruoli a ciascuno affidati dal cittadino-elettore”. Limiti alla “giurisprudenza creativa”. Infine il Cardinale ha parlato dei temi etici e familiari, a partire dalle Dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat) in discussione alle Camere. A questo riguardo ha detto che “si tratta infatti di porre limiti e vincoli precisi a quella ‘giurisprudenza creativa’ che sta già introducendo autorizzazioni per comportamenti e scelte che, riguardando la vita e la morte, non possono restare affidate all’arbitrarietà di alcuno. Non si tratta di mettere in campo provvedimenti intrusivi che oggi ancora non ci sono – ha sottolineato – ma di regolare piuttosto intrusioni già sperimentate, per le quali è stato possibile interrompere il sostegno vitale del cibo e dell’acqua. Chi non comprende che il rischio di avallare anche un solo caso di abuso, poiché la vita è un bene non ripristinabile, non può non indurre tutti a molta, molta cautela?”. Il Cardinale ha così auspicato “regole che siano di garanzia per persone fatalmente indifese, e la cui presa in carico potrebbe un domani, nel contesto di una società materialista e individualista, risultare scomoda sotto il profilo delle risorse richieste”. Circa la famiglia, ha quindi auspicato che “fatto salvo il rispetto per la libertà personale, nessuno nell’ambito pubblico provveda a decisioni che mettano in ombra l’istituto familiare, architrave portante di ogni realistico futuro”.