Dobbiamo annunciare il Dio vivo

Intervista all’arcivescovo sui temi e i problemi più urgenti della Chiesa e della società umbra

L’agenda di mons Chiaretti è fitta di impegni fino al 4 ottobre quando passerà il testimone, o meglio, il pastorale, al suo successore mons. Gualtiero Bassetti. Fino ad allora l’arcivescovo Giuseppe Chiaretti, amministratore apostolico dell’arcidiocesi di Perugia – Città della Pieve, praticamente non ha un giorno libero tra incontri con il clero in tutte le zone pastorali, amministrazione di cresime e messe varie nelle parrocchie, inaugurazioni, conferenze, e poi la messa cantata in gregoriano in programma con la Sagra musicale. Infine, ma non ultimo, dal 24 al 29 prossimi il viaggio in Malawi per le celebrazioni del cinquantesimo della istituzione della diocesi africana gemellata con Perugia. Il saluto ufficiale alla diocesi lo farà sabato 12 settembre nella festa della Madonna delle Grazie venerata nella sua chiesa cattedrale. La diocesi, degnamente rappresentata dal Capitolo della cattedrale ricambia con una serie di iniziative (vedi articolo a pagia 11) e accompagnandolo al pellegrinaggio a Loreto svoltosi giovedì 10 settembre. L’abbiamo intervistato per questo inserto che la diocesi offre in omaggio al pastore che l’ha guidata per 14 anni. Nel suo studio, visibilmente stanco al termine di una giornata intensa, non si è sottratto alle domande rispondendo con la passione che tutti gli riconoscono e che si accende di nuovo vigore quando parla del Vangelo e del Cristo per i quali ha dato la sua vita. Mons. Chiaretti, sta per concludersi il suo servizio episcopale. “Chiudo un’esperienza durata 14 anni che si uniscono agli altri 13 per 26 -27 anni di episcopato che hanno un peso nella vita. Da semplice parroco di montagna mi sono ritrovato a fare il vescovo all’interno di realtà abbastanza diverse”. Una differenza sta nel fatto che a San Bendetto del Tronto lei ha dovuto imparare a fare il vescovo… “Sì, e l’ho imparato prolungando l’attività parrocchiale. Io sono nato per fare il parroco e in fondo l’ambiente di San Benedetto mi ha consentito di continuare a farlo, nel senso che i rapporti tra le persone erano pressochè familiari, come in una parrocchia. Certo l’ambiente perugino è diverso, è una città strutturata, con una storia antica, un ruolo nella regione, e tutto questo comporta una complessità maggiore e una preparazione”. Lei è stato anche presidente della conferenza episcopale umbra…“Sì, cercando di identificare i problemi emergenti e cercando di darvi risposte. Sia chiaro, problemi sul piano spirituale ma non solo. Potrei ricordare tante cose. Parto dal terremoto del ’97 che ha determinato una svolta in tutta la realtà ecclesiale umbra perchè ci ha costretto a fare i conti con la gente in presa diretta”. Cosa vuol dire? “Il terremoto del ’97 è stato una grande scuola di volontariato per tutta la Chiesa italiana ed ora quello che ora si sta facendo a L’Aquila non è che la continuazione di ciò che si è fatto allora. Dobbiamo ringraziare l’intuizione di don Lucio Gatti che si rese conto che se non si approfondivano le motivazioni del ‘fare’ la durata sarebbe stata più breve ed effimera, per questo puntò molto su questa sorta di campi scuola dove i volontari venivano accolti, aiutati ad interpretare i bisogni, ad entrare in contatto con la gente e tutto questo ha creato un rapporto con il reale, con il vissuto, che è valso nei riguardi dei giovani a farli camminare con i piedi per terra. Non più a coltivare le loro illusioni con i lorto fantasmi sessantottini, e li ha realmente calati nel concreto della vita. Questa è stata una grande conquista pedagogica nei riguardi dei giovani”. Un’esperienza che ha lasciato il segno nelle diocesi umbre? “Lo considero come il fatto che ha qualificato un nuovo corso della nostra Chiesa regionale. Possiamo dire ‘fratello terremoto’ nel senso che ci ha affratellati. E non ho timore di dire di essere convinto che lo stile delle Caritas diocesane abbia influenzato altre strutture civili collaborando, chiedendo aiuto l’uno all’altro. E sul piano della carità ci ha portato a tener conto delle realtà civili. La Caritas opera in collaborazione con il territorio, facendo ognuno la sua parte”. Le diocesi umbre si sono mosse in comunione anche in altri settori…“Non possiamo ignorare l’impegno per una pastorale giovanile nuova che si è legata anche a delle strutture, come gli oratori che sono momento educativo forte pur partendo da un fatto ludico. Ci sono migliaia di ragazzi, adolescenti e giovani che si muovono nel movimento oratoriano e ci sono anche delle lacune vistose, soprattutto nelle città dove i ragazzi sono lasciati vivere allo stato brado”. Lasciati da chi? “Qui c’è una responsabilità netta, da punto di vista anche politico oltre che genericamente culturale. È chiaro che viviamo le conseguenze di un sessantotto mal digerito e per certi aspetti anche rinnegato: il Sessanttotto voleva essere l’inno alla resposnabilità mentre in questo momento di responsabilità non ne vedo proprio in giro. Vedo invece la deresponsabilizzazione adirittura colmata con il tranquillante che sono le droghe, la sessualità usata in modo molto avvilente e banale”. Da quando è arrivato è cambiato molto il panorama giovanile? “Ricordo il saluto fatto in piazza dall’allora sindaco Maddoli, che mi disse ‘Perugia è un’isola felice’, e io ne fui contento, però oggi non posso dirlo. Si sono innestate tolleranze e illegalità inaccettabili. Si è chiuso occhio su coloro che avevano tutto l’interesse che questo avvenisse perchè c’è uno smercio di sostanze. Ci sono comportamenti che hanno passato i limiti della tollerabilità, e non lo dico io, lo dice la reazione della gente, dei cittadini che si sono anche costituiti in associazioni per reagire al degrado. Noi come Chiesa possiamo contare sugli oratori ma il discorso è inquinato da querste situazioni perchè anche i giovani degli oratori vedono e rimangono quanto meno perplessi”. Lei ha sempre detto di avere un rapporto di rispetto e dialogo con le istitutzioni, ma ha da rimproverargli qualcosa?“Sempre rispetto e dialogo, certo, ma su questo piano non ho mai avuto un rapporto tenero. Più volte con il sindaco e le altre autorità ci siamo incontrati anche privatamente in questo ambiente, più volte anche a livello cittadino. C’è stata una sensibilizzazione. Certo non mi sono messo anche io a gridare allo sfascio perchè finisce per essere controproducente, però non ho mancato di far rilevare i problemi in termini realistici, ma non arroganti. Per esempio ne parlai in occasione della festa di Sant’Ercolano, pochi giorni dopo l’omicidio di Meredith”.Quale è la mancanza che più rimprovera alle autorità?“Certamente questa disattenzione dovuta ad una logica di libertà che non mi appartiene. Una logica di libertà libertaria che rifiuta in partenza il senso di responsabilità, contro la quale occorre prendere coscienza perchè nasce subito dopo il problema educativo: quali valori vengono trasmessi perchè possa nascere il senso della responsabilità, e che cosa si fa?”.La Chiesa cosa fa?“Chiaramente io opero su un piano di motivazioni fede, che non sono contro la ragione ma sempre sulla linea dello sviluppo della ragione. Sono discorsi che abbiamo ripreso anche nel Sinodo diocesano”. Quale è il cambiamento più rilevante che ha registrato negli anni del suo episcopato sul fronte educativo?“Sul piano culturale negli ultimi quindici anni si è avuto un terremoto del modo di vivere e di pensare. Le tradizioni sono saltate, i modi vivere popolari che erano impregnati di esperienza cristiana sono saltati. Oggi ci troviamo di fronte a un timore incusso: questo Dio inutile togliamocelo di dosso, eliminiamolo perchè fa danno, dobbiamo vivere nella assoluta libertà. Questo è un magistero che ci arriva quotidianamente dalla certa stampa che ne fa un apostolato. Ma se togli Dio togli ogni principio di responsabilità perchè sono io che decido cosa e bene e cosa è male”. C’è sempre la ragione, o no?“In questo contesto non può funzionare neppure una sana ragione perchè quando noi parliamo di verità mettiamo innanzi a tutto la ragione, ma oggi è il tempo delle emozioni e l’emozione porta alla soggettività”. Non è solo un discorso teorico, vero?“I risultati li vediamo, per esempio, nello sfascio della famiglia: Perugia cresce continuamente come città dei divorzi e delle separazioni e prima o poi avremo lo sfascio dei figli, ovvio! Io dico che Dio perdona, ma la natura no, quando la natura è violentata chiede giustizia. E farà giustizia. Lo ricordino gli uomini politici, tutti, che pensano di accontentare le mode e le suggestioni perchè così è richiesto e non pensano al futuro, né quello più immediato né quello più remoto. Ma la politica si caratterizza se pensa al futuro. Dovremmo sempre renderci conto di dove ci portano certi comportamenti, quali conseguenze. Governare è anche prendere la parte dura, non è un indulgere verso la mala abitudine”. Cosa vede nel futuro della nostra società?“Dove andremo, credo che molti lo vedranno già nella propria vita. Credo che l’orizzonte non è proprio sereno se continuiamo con questo trend. Bisogna avere la pazienza e il coraggio di parlare con serietà, non andare avanti per luoghi comuni o per abitudini. Chi ha il governo, a tutti i livelli di potere, anche nella Chiesa, ha una grossa responsabilità”.Anche la Chiesa è cambiata in questi anni…“Certo anche la Chiesa sta cambiando. Per esempio il senso di Dio si sta impoverendo con tutti questi assalti …”.Nella Chiesa?“Sì. Vedi benissimo che Dio non incide più di tanto nella coscienza delle persone. Allora c’è bisogno che torni ad essere un Dio vivo, il Dio di Gesù Cristo. C’è bisogno di saper vedere la realtà, quella che è del nostro mondo: saperci vedere l’orma di Dio e nello stesso tempo saper anche riorientare questo nostro mondo verso la verità e non soltanto verso la libertà. Gesù dice la verità vi farà liberi. Non è pensabile una libertà senza verità e questo va detto, e noi abbiamo cercato di dirlo nel Sinodo. Il nostro grosso magistero è il Sinodo, che è stato fatto dalla comunità cristiana di Perugia, non dal vescovo”.Sta descrivendo una società scristianizzata. La vede così?“Non vorrei terrorizzare ma richiamare all’attenzione sì. Siamo ad una svolta che richiede un salto di qualità. La domanda è come riproporre Dio oggi, come i Papi hanno chiesto ripetutamente, con nuovo fervore, nuovo linguaggio, nuovo metodo. I papi hanno chiesto una novità e la Chiesa deve cercare i percorsi di questa novità, altrimenti facciamo azione sociologica”.Dopo questi anni di episcopato quale è, per lei, la novità?“Basterebbe dire che in una diocesi dove i movimenti erano condannati, perlomeno demonizzati, oggi i movimenti hanno diritto di vivere. E non lo dico io ma lo dice Papa Benedetto e Papa Giovanni Paolo, perchè i movimenti sono l’elemento di novità che poi con il passare del tempo entra anche nelle consuetudini culturali e pratiche della gente, perchè dentro questa realtà dei movimenti c’è il bisogno, e la capacità, di parlare in maniera autentica alla gente, di aiutarla a cambiare il cuore, altrimenti non siamo cristiani. È una rievangelizzazione che dobbiamo assolutamente fare e in un contesto che si considera cristiano”.Quindi la nuova evangelizzazione la vede in opera soprattutto nei movimenti?“Nei movimenti, tutti, pur con i loro limiti”.Cosa intende quando parla di limiti? “Per esempio devono abituarsi ad una azione concorde e concordata, non possono andare di iniziativa loro. Però si sa già che un po’ alla volta le cose cambieranno, con la morte dei fondatori, con il crescere dell’esperienza. L’abbiamo già visto e realizzato con il movimento benedettino o francescano. In questa diocesi i movimenti hanno collaborato, per esempio, per grande festa della famiglia. La collaborazione è possibile altrimenti non posso parlare di Chiesa che deve dimostrare la presenza di Dio con la sua unità, la sua compattezza”. Dunque cambia anche il modo di annunciare Dio?“Dio non è una notizia storica, è una persona viva per me, per questo tempo, per queste famiglie! Non è una lontana reminiscenza culturale, e se la fede non la faccio diventare questo allora faccio archeologia che non serve a niente. Questo è il problema dei credenti! Abbiamo pensato dopo il Concilio di riprendere il discorso della Evangelizzazione e promozione umana. Però il discorso della promozione umana si è talmente socializzato da generare, per esempio i cristiani per il socialismo dove, ad un certo punto, sono state confuse talmente le carte da prendere un partito di sinistra come modello di vita cristiana!”.Non pensa ci possa essere il rischio che accada una simile deriva a destra?“Ci possono essere anche gli iperconservatori, certo. Questo fa parte del gioco delle libertà! Dal ’95, quando Giovanni Paolo II disse ‘libera uscita per i cristiani’, questi si dispersero in tutta la moltitudine di partiti e partitini e da quel momento c’è una contaminazione continua di idee che vengono dal mondo genericamente liberale e socialista. La Chiesa non vuole essere una terza forza, ma con la sua dottrina sociale è una linea morale che chiede il centraggio sull’uomo e sul bene comune. Questa è l’identità della Chiesa, non una idea ma l’uomo a tutto tondo”.Eppure viene tirata da tutte le parti…“Dietro molte scelte ci sono interessi. Dietro la RU486 ci sono interessi economici. Vogliamo parlare di immigrazione? Ma questa gente scappa da luoghi dove siamo andati con le multinazionali a sfruttarli, portargli via il loro oro, i loro diamanti, il loro petrolio, il loro uranio. Siamo andati là per questo e anziché fare ricco il popolo povero con le ricchezze che sono le sue noi stiamo continuando a sfrutttarli! E poi ci scandalizziamo se scappano via per la fame o per le guerre che noi abbiamo suscitato perchè più il popolo è in rivolta più lo sfrutti meglio”. Non sono argomenti molto trattati sui mezzi di informazione …“Ma perchè a livello mondiale queste cose non si possono dire? Perchè deve urlare i l Papa, su queste ignominie? La Chiesa non fa il discroso né della società liberale né della società socialista ma della società che porta rispetto all’uomo, ad ogni singola persona, che porta rispetto alle strutture fondamentali dell’uomo, come la famiglia, che non ha inventato lo Stato ma la natura”.Parlava del dopoconcilio, ma anche la politica è molto cambiata da allora“Nel dopo Concilio ci fu la fossilizzazione sulla promozione umana diventata promozione politica e partitica. Oggi non vogliamo assolutamente cadere in questo, ma stiamo vedendo, invece, che i politici sono appiattiti, ognuno coltiva il suo orticello. Lo vedo tra i cristiani, quando da destra passano a sinistra e viceversa. Ma questo che vuol dire? Ci si può fidare di queste persone?. Non devo vergognarmi di portare avanti un valore sostenuto dalla destra e nemmeno di uno portato dalla sinistra. Il cattolico non ha una ideologia da difendere. L’ideologia del reddito fa parte del mondo liberale, l’ideologia del tutto pubblico dimenticando le mediazioni delle realtà come la famiglia, è ideologia di carattere sinistrorso. Un esempio: della pillola abortiva RU486 non si parla, non si dice che ci sono donne che sono morte a causa sua”. Perchè non se ne parla?“I mezzi della comunicazione sociale ormai sono pilotati dalle grandi maggioranze che dettano l’agenda, ma così non c’è un dibattito alla base. Parlando della nostra realtà, in un ambiente culturale come quello perugino quali sono i dibattitiche vengono portati avanti dagli uomini di cultura? Eppure ci sono circa tremila professori universitari! Nel nostro piccolo abbiamo cercato di portare delle idee, con conferenze e convegni comne quello sulla famiglia, ma chi ha raccolto il dibattito? Nessuno, né cattolici né non cattolici”.Secondo lei perchè c’è questa inerzia?“Perchè ognuno pensa al suo particolare, quando ha sistemato sse stesso ha sistemato tutto”.Non crede che ci sia anche un certo senso di impotenza, di non avere più la speranza di cambiare il mondo? “Sì anche. Il mondo si cambia cominciando a cambiare te stesso. Il mondo lo cambia san Francesco, non lo cambia il sultano, o meglio lo può cambiare con la scimitarra, ma non è quello il modo di cambiare il cuore delle persone”.Lei non ha l’aria né il tono della persona che va in pensione…“Certamente i problemi di fondo della chiesa sono questi. Ogni sabato guardo questa marea di matrimoni civili, molti sono al secondo matrimonio, qualcuno anche al quarto. Il matrimonio è diventato una cosa sciocca, i figli sono oggetti di litigi. Ribadisco il discorsi educativo: non basta invitare a non fumare perchè se non gli dai il motivo quello continuerà a farlo. Il fumo come l’alcol è segno di una società del non -pensare. Basta affacciarsi su questa piazza. A mezzanotte e mezza iniziano i tamburi e seguitano imperterriti. Ho parlato con dei giovani che dormono qui vicino e dicono ‘questo è uno schifo, scene così non l’abbiamo viste né a Helsinki né in Cina”. All’estero ci sono regole da osservare, ma qui dove sono le regole? La notte ognuno fa ciò che vuole senza alcun rispetto per gli altri. Libertà senza limiti, tanto che c’è lo spaccio della droga sotto gli occhi di tutti. Chiaro che tutto questo è conseguenza di una tolleranza eccessiva di una illegalità consolidata. Questo in centro ma anche in alcuni luoghi della periferia dove succedono cose analoghe”. Attraverso La Voce, con il commento al Vangelo che ha accettato di fare a partire dall’Avvento, potrà avere un contatto settimanale con molte persone. “Sì, è vero ma questo è un fatto marginale, nel senso che non avrò più alcun ruolo, perchè devo lasciare ogni incarico anche a livello nazionale e regionale”. Cosa pensa di fare il 5 ottobre? “Ancora non ci ho pensato. Per ora sento il bisogno di dormire perchè non avendo preso un periodo di ferie questa estate sento una forte stanchezza fisica e mentale. Ho bisogno di un po’ di recupero, poi vedremo. Se potessi scegliere farei parroco in un paesino di montagna dove gli altri se ne sono andati! Vedremo. Questo sarebbe il mio sogno. Ormai la mia funzione pubblica è terminata. Resta la preghiera, l’incontro con la gente, il consiglio, la presenza in alcune occasioni. Come tutti i vescovi in quiescenza. Magari all’inizio di più poi sempre meno … è così. Magari tornerò a leggerò Il Vittorioso”. Non ha da scrivere qualche libro che non è riuscito a fare finora? “No! Mi sono talmente stancato a scrivere che non credo che lo farò. Per una ragione semplicissima: ho visto la fine di certi libri, ne ho accumulati talmente tanti che poi non ho potuto leggere!”. Quale sarà il suo ultimo gesto come vescovo di Perugia? “La consegna del Pastorale al mio successore. Quindi il quattro di ottobre alle ore 19 sono finito. Non sono più”. Parlare in questi termini, “non ci sono più”, è doloroso…“Chiaro che fa male, perchè uno si interroga, ho fatto bene, ho fatto male. Adesso non c’è neppure tempo di pensarci ma poi il pensiero c’è, ti interroghi: quel caso l’ho risolto bene, potevo fare diversamente? Quel prete l’ho trattato bene, l’ho trattato male? Per la diocesi ho fato questo e quest’altro… Uno si affida all’ignoramza che è ‘l’ottavo sacramento’! Ho fatto quello che ho potuto e ho saputo fare in quel momento, poi bisogna affidarsi alla misericordia di Dio”.

AUTORE: Maria Rita Valli