“Inconsistenti”: a valutare in questi termini i rilievi mossi alla Santa Sede dal Comitato Onu per i diritti dell’infanzia, che ha pubblicato le sue Osservazioni conclusive sui Rapporti della Santa Sede relativi all’applicazione della Convenzione sui diritti del fanciullo, è Giuseppe Dalla Torre, rettore della Lumsa ed esperto di Diritto canonico.
“La Commissione – si legge nel rapporto dell’organismo delle Nazioni Unite – è profondamente preoccupata per il fatto che la Santa Sede non abbia riconosciuto la portata dei crimini commessi, non abbia adottato le misure necessarie per gestire i casi di abusi sessuali su minori e proteggere i bambini, e abbia adottato politiche pratiche che hanno portato alla prosecuzione degli abusi e all’impunità dei colpevoli”.
Pronta la replica della Santa Sede, che in un comunicato definisce “alcuni punti” del documento del Comitato delle Nazioni Unite “un tentativo d’interferire nell’insegnamento della Chiesa cattolica sulla dignità della persona umana e nell’esercizio della libertà religiosa”, ribadendo il suo impegno “a difesa e protezione dei diritti del fanciullo, in linea con i principi promossi dalla Convenzione sui diritti del fanciullo e secondo i valori morali e religiosi offerti dalla dottrina cattolica”.
Nel dettaglio, la Santa Sede “prende atto delle Osservazioni conclusive sui propri Rapporti, le quali saranno sottoposte a minuziosi studi ed esami nel pieno rispetto della Convenzione nei differenti ambiti presentati dal Comitato secondo il diritto e la pratica internazionale, come pure tenendo conto del pubblico dibattito interattivo con il Comitato”, svoltosi il 16 gennaio a Ginevra.
La Santa Sede è stata una dei primissimi Stati a ratificare la Convenzione sui diritti del fanciullo il 20 aprile 1990, a nome proprio e dello Stato della Città del Vaticano. Il 2 marzo 1994 ha presentato il suo Rapporto iniziale e il 27 settembre 2011 ha presentato il suo secondo Rapporto, sulla base dei quali il Comitato ha proposto alla Santa Sede una serie di domande per ulteriore informazione. Il 16 gennaio scorso, a Ginevra, l’incontro con la delegazione della Santa Sede.
Secondo il Comitato dell’Onu, il Vaticano non ha fatto abbastanza per contrastare gli abusi sui minori: è così, prof. Dalla Torre?
“Dal punto di vista giuridico, si tratta di un rilievo inconsistente. Già nel Codice di diritto canonico era prevista una sanzione, anche pesante, nei confronti dell’abuso commesso da un chierico nei confronti di un minore. Da quando però la Santa Sede ha firmato la Convenzione, nel 1990, è stata emanata la lettera apostolica di Giovanni Paolo II Sacramentorum sanctitatis tutela, nel 2001. A questo provvedimento, che rimetteva alla Congregazione per la dottrina della fede la proscrizione di questi delitti, seguirono altri interventi – nel 2002, nel 2003 e nel 2004 – posti a rafforzare quanto previsto dalla lettera di Giovanni Paolo II, fino ad arrivare agli ultimi provvedimenti nel 2010. Un decennio, dunque, costellato di provvedimenti che, partendo dalla ratifica della Convenzione, hanno rafforzato e implementato la repressione degli abusi, peraltro già sanzionati nella legislazione ordinaria, fin dal Codice di diritto canonico del 1917. Nel decennio 2000-2010, indubbiamente, c’è stato un ulteriore rafforzamento, indice della condivisione da parte della Santa Sede delle preoccupazioni dell’opinione pubblica e della società per la piaga della pedofilia. E c’è una straordinaria continuità nel magistero dei Papi, da Giovanni Paolo II fino a Papa Francesco”.
Come rispondere all’obiezione, mossa dal Comitato, secondo la quale la Santa Sede si sarebbe preoccupata più della “protezione” del clero che dei minori?
“Bisogna decrittare cosa si intende per ‘protezione’: nessun chierico è sottratto alla giurisdizione dello Stato, o immune da essa. La Chiesa ha una sua giustizia interna che fa il suo corso, ma ciò non significa che i chierici non vengano perseguiti dallo Stato. Legge canonica e legge civile sono due cose distinte, così come sono distinte le rispettive sanzioni. Per quanto riguarda, poi, l’obbligo di denuncia, ciò varia da ordinamento a ordinamento: nel nostro Paese, ad esempio, non c’è nessun obbligo di denuncia alle autorità civili. È assurdo inoltre imputare alla Santa Sede i fatti commessi da sacerdoti o religiosi dei quali la Santa Sede non ha mai saputo niente: la Santa Sede ha il compito di dettare norme e prendere i dovuti accorgimenti per contrastare questo fenomeno, fornendo indicazioni ed emanando linee-guida per le diocesi”.
Nel documento di Ginevra si denuncia il “codice del silenzio”.
“È una forzatura. Bisogna tener conto che i casi di pedofilia sono gravi, complessi e delicati: spesso sono le stesse famiglie delle vittime a chiedere la riservatezza, proprio come forma di ‘protezione’ del minore, finché non vengano fuori elementi sicuri. Molto spesso i casi vengono fuori dopo 30-40 anni. È il fatto in sé che richiede riservatezza, nell’interesse delle persone coinvolte, e quindi anche come forma di tutela dei minori. Non dimentichiamo, inoltre, che ci sono stati casi in cui alcuni preti si sono uccisi, salvo poi a venire assolti dopo morti”.