Dio e materia sono relazionali

Dibattito sui rapporti tra scienza e fede

Il rapporto tra scienza e fede è tema che continua a suscitare molto interesse, e ciò è già in sé riprova della sua importanza e della necessità di un equilibrio ancora non pienamente raggiunto. Si tratta, come già detto anche su queste colonne, di “magisteri non sovrapponibili” ma che interagiscono per il tramite dell’uomo: il loro punto di contatto. La scienza ha, da tempo, sviluppato propri metodi di lavoro, accettati universalmente, tra cui il principio di sperimentabilità e riproducibilità (almeno delle osservazioni) ed il principio di falsificabilità. Partendo da tale metodo, le discussioni scientifiche vedono la partecipazione di tutti i ricercatori interessati, a prescindere da qualsiasi elemento di differenziazione: nazionalità, credo religioso, retroterra socio-culturale o quant’altro. La condivisione che ne consegue è quindi altrettanto ampia e generale. E di fatto teorie già “date per vere” vengono continuamente messe in discussione e rese più accurate e potenti. Fisica e TrinitàLa scienza è ricerca della verità sul creato (semplificando un poco il ragionamento e tralasciando il rapporto scienza/tecnica e le implicazioni connesse, quanto mai attuali in questi giorni, alla luce delle vicende giapponesi), ma può essere anche di grande aiuto nel cammino personale di comprensione del mistero di Dio; potremmo dire che è una forma di esperienza contemplativa. L’impronta relazionale (trinitaria) del Creatore può essere intuita in tutto il creato: l’intero mondo emerge da relazioni. (Mi perdoneranno gli amici fisici per la semplificazione che opero). La massa, la proprietà del mondo fisico con la quale ci confrontiamo continuamente, trae origine dalla relazione tra particelle: ad oggi la teoria più accreditata sul mondo infinitamente piccolo dice che le particelle elementari non hanno massa; essa appare solo grazie alla relazione tra le stesse mutuata dal bosone di Higgs, la cosiddetta “particella di Dio” che i fisici ginevrini cercano con tanta passione con l’Lhc. Si diceva che scienza e fede, pur non sovrapponibili, hanno un punto di contatto nell’uomo. Al fondo, anche la vicenda galileana ruotava intorno all’uomo: se la Terra non è più il centro dell’universo, anche l’uomo perde il suo ruolo. È innegabile che, sul piano storico, tra i due ambiti vi siano state delle “dispute” accese. A valle del profetico documento su Memoria e riconciliazione fortemente voluto da Giovanni Paolo II in occasione del Giubileo del 2000, un’analisi serena ed oggettiva delle implicazioni storico-culturali di tali dispute aiuterebbe anche a superare la diffidenza di una parte della comunità scientifica, strutturalmente aperta alle sfide della falsificazione, ma a volte critica verso le posizioni della Chiesa istituzionale. Il creato è uno soloLa comprensione del mondo che emerge dalla ricerca scientifica è frutto della capacità di pensiero razionale che contraddistingue l’uomo, cioè frutto del dono più bello che il Creatore abbia fatto alla sua creatura più alta. Tale comprensione può fertilizzare anche altri campi del sapere, anche la teologia, perché no (Heller parla di “nuova fisica e nuova teologia”). Ed anche, i risultati di tali speculazioni non potranno mai portare a conclusioni contrarie alla realtà profonda del creato: sia lo strumento sia l’oggetto della conoscenza hanno la stessa origine. Potranno portare a livelli di conoscenza più accurati, e talora ad (apparenti?) contraddizioni con le certezze di qualche sistema religioso, ma non con l’esperienza di fede, con l’esperienza dell’incontro personale con la realtà di Gesù: “Via, Verità e Vita” (Gv 14, 6). Verità sull’Amore, e non sul mondo fisico/biologico: “Pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini” (Fil 2, 6-7). “In maniera confusa” Ma al contrario della verità del Cristo, la nostra comprensione, sia del mondo sia del mistero di Dio, è sempre parziale ed incompleta. Poiché “i miei pensieri non sono i vostri pensieri” (Is 55,8), ed “ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa” (1Cor 13,12), dobbiamo essere pronti ad accettare il principio di falsificazione in tutte le costruzioni di conoscenza umana, perfezionandole e rivedendole (almeno) quando l’evidenza della ragione ne mostra la necessità. Le conclusioni alle quali è giunta la biologia indicano chiaramente come l’uomo (biologicamente inteso) sia parte dello sviluppo evolutivo del mondo vivente, che è strutturalmente soggetto ad invecchiamento progressivo, fino alla morte. A meno di mettere in discussione il principio di causalità, la natura mortale appare quindi una caratteristica intrinseca di ogni vivente, e non un dato acquisito agli albori dell’umanità. Mi chiedo: vi può essere spazio per una riflessione teologica e pastorale su tali temi, che consenta di comprendere ancora più profondamente il progetto di salvezza che Dio ha per l’umanità? Un’altra domanda: le acquisizioni sulla comparsa per via evolutiva dell’uomo, insieme alle acquisizione che derivano dagli strumenti di lettura critica dei testi, anche biblici, potrebbero essere approfondite anche sul piano teologico? Forse ne potrebbe emergere che l’inclinazione al male che caratterizza l’uomo trae origine dalla libertà personale di ciascuno più che dalle azioni che i nostri progenitori hanno consegnato alla storia una volta per tutte.

AUTORE: Paolo Valigi