di Daris Giancarlini
Torrida per Di Maio, calda con punte di solleone per Salvini: l’estate 2019 dei due vice presidenti del Consiglio si presenta con il barometro verso il rosso intenso. Questo, per il clima che più preelettorale non si potrebbe, per le continue e martellanti polemiche tra i due, e per le divisioni interne all’Esecutivo e ai due stessi partiti di appartenenza.
Chi dei due sta messo politicamente peggio è il capo politico dei cinquestelle: in un anno al timone del movimento di Grillo e Casaleggio, ha collezionato sconfitte sonore praticamente in ogni tornata elettorale, perdendo a favore della Lega un terzo dei consensi. Botte da stendere un toro, ma che sulla tenuta dell’esecutivo a guida (?!) Giuseppe Conte hanno inciso finora in misura ridotta, essendo il totale dei voti a disposizione dei giallo-verdi rimasto intorno al 50 per cento.
Ed essendo la stessa componente grillina abituata dal primo giorno di coabitazione con l’alleato leghista a fronteggiare le esondazioni politiche di Salvini. Ridotto il proprio peso al governo dopo il disastroso esito delle elezioni europee, i cinquestelle – o meglio, la componente governista che fa capo a Di Maio – pur di restare a palazzo Chigi sta inghiottendo bocconi amari uno dietro l’altro…
se non vere e proprie polpette avvelenate, come quelle della ‘tassa piatta’ (con Salvini che dice “i soldi per farla ci sono” e Di Maio che lo sollecita a spiegare di che soldi parla) e dei cosiddetti ‘mini-bot’ (titoli senza scadenza e costo, di piccolo taglio, per pagare i debiti della pubblica amministrazione, da molti interpretati come primo passo verso l’uscita dell’Italia dall’Unione europea).
A molti grillini – a cominciare dal ‘barricadero’ Di Battista –risulta vieppiù indigesto l’atteggiamento del vicepremier M5s a difesa della tenuta dell’esecutivo, di fronte al prurito leghista per un’eventuale rottura che porti al voto a settembre. Così Di Maio è preso tra due fuochi, quello leghista e quello interno dell’ala più movimentista dei grillini. Dietro a tutto, il regolamento interno che impedisce ai cinquestelle di candidarsi per più di due volte (per Di Maio e molti suoi colleghi sarebbe lo stop definitivo alla carriera politica).
Non sta fresco, da molti punti di vista, neanche Salvini. Perché va bene il piglio decisionista e l’attitudine a travalicare i limiti delle proprie competenze di governo (chi ha mai sentito, dal dopoguerra a oggi, un ministro dell’Interno che annuncia di voler convocare a breve i sindacati per parlare di lavoro e occupazione?), ma anche il leader leghista ex padano non dorme sonni propriamente tranquilli.
Per chiedersi: “Chi me lo fa fare di restare al governo con questo Governo, se ormai la Lega è ben oltre il 30 per cento e i grillini sono al 17? Perché devo essere io a mettere la firma su una manovra d’autunno che sarà lacrime e sangue? E alle imprese e ai cittadini del Nord Italia, da sempre il mio zoccolo elettorale duro, cosa porto in cambio del consenso, se di infrastrutture nuove ancora non si vede l’abbrivio e di riduzione delle tasse non si parla?”.
Notti calde e insonni, quelle di Salvini, anche perché l’ala interna del ‘così non si può andare avanti’ sta aumentando la sua pressione sul capo leghista. Tutto questo, mentre si dovrebbe lavorare uniti per evitare la procedura d’infrazione dell’Ue e per una manovra economica che non riduca l’Italia ai minimi termini. Il fresco d’autunno è lontano.