Per fare un adeguato commento alla liturgia della domenica delle Palme, bisognerebbe lasciare la pagina in bianco. La storia narrata nell’esteso brano di Vangelo che ascolteremo quasi non sopporta che vengano aggiunte parole, oppure meriterebbe, per ogni singola parola, meditazione, preghiera, approfondimento, e poi di nuovo silenzio. Ogni volta che siamo di fronte alla morte, anche quella più “fisiologica” nella vecchiaia e nella serenità magari, non abbiamo parole da aggiungere.
Adesso – al concludersi del cammino quaresimale – siamo posti davanti allo spettacolo più atroce che la crudeltà umana abbia pensato: un innocente, giusto, buono, che era vissuto insegnando la misericordia, il perdono, l’accoglienza, che non aveva condannato mai nessuno, che aveva disputato solo per aiutare tutti a comprendere il cuore di Dio e a trovare così la vita, viene privato di ogni gesto di pietà. Lui che aveva passato le mani sugli occhi dei ciechi e che si era lasciato pigiare dalla folla, che aveva spezzato il pane con tutti e non aveva disprezzato il tocco delle prostitute, viene preso, torturato, umiliato, deriso in ciò che ha di più profondo: l’amore del Padre. “Dove sta questo amore, se noi possiamo farti questo? A che è servito tutto l’amore che hai avuto per noi, se questa è la risposta che ricevi?”.
Il cuore di Gesù deve essersi spezzato. L’assurdità della situazione, la follia delle accuse, l’ingiustizia della violenza e l’abbandono da parte di tutti devono averlo spezzato. Ciascuno è lì con Gesù: il disperato che guarda la sua vita come se fosse inutile e vana; il malato che sperimenta come una maledizione lo stesso corpo che l’ha reso capace di vivere, incontrare, lavorare; l’accusato la cui vita viene squadrata dagli altri, messa a nudo, svergognata e resa ridicola; l’ateo che vede il Cielo chiuso, perché Dio sembra impegnato altrove mentre il Figlio prediletto subisce ciò che neppure il peggiore dei malfattori dovrebbe subire. Nessuna sofferenza umana è stata risparmiata a Gesù, nemmeno quella di veder morire chi ama, perché, mentre uccidono lui, i suoi muoiono dentro, separati dall’amore e dal Padre.
Deve essere stata questa l’unica luce verso cui ha indirizzato lo sguardo: questi, che non capiscono ciò che fanno; questi, presi dalla rabbia, dalla paura, dall’odio; questi per i quali era venuto, avevano bisogno che lui donasse la sua vita. Dovevano vedere fin dove arriva l’amore del Padre: niente che essi potessero fare poteva allontanarli da Lui, anzi anche l’abominio più terribile si doveva rivelare portatore di una vita smisurata. Gesù avrà cercato intorno a sé i volti degli amati, allora, per prendere forza.
Avrà cercato il volto di Pietro che lo rinnegava, degli apostoli che fuggivano, delle folle che, prima osannanti, ora gli urlavano contro. Avrà cercato il volto spezzato della madre, quello sconvolto delle discepole arrivate fin sotto la croce, incapaci di separarsi dall’unico che aveva avuto per loro uno sguardo pieno di dignità: figlie di Abramo, sorelle. Appeso a questi volti, più che alla croce, il Signore ha donato la sua vita, insegnandoci che non esiste nulla che lui non possa vincere. Non siamo più soli, la morte non ci domina più. Abbiamo paura come lui, soffriamo come lui, rimaniamo soli come lui, perdiamo di vista il Padre come lui, ma questa non è l’ultima parola. Non guarderemo mai più la morte pensando che sia l’ultima parola: abbiamo visto sul Golgota che l’ultima parola è l’amore, e l’amore vince anche la morte.
In una bellissima canzone di tanti anni fa, Fabrizio De André raccontava la morte di Gesù con gli occhi del buon ladrone. Il ladrone ripercorreva i dieci comandamenti, le dieci Parole: aveva trasgredito ogni legge e non aveva provato alcun pentimento, perché non vi aveva visto nessun amore e nessuna speranza. Ora questo trasgressore assoluto vede Gesù morire pieno di perdono, lo vede morire ucciso in nome di una legge che lui era venuto a compiere, ed esclama così: “Ma ora che viene la sera ed il buio mi toglie il dolore dagli occhi e scivola il sole al di là delle dune a violentare altre notti, io nel vedere quest’uomo che muore, madre, io provo dolore, nella pietà che non cede al rancore, madre ho imparato l’amore”. Il Logos, il fondamento del mondo cioè, la logica secondo cui tutto è stato fatto, il senso di ogni cosa che esiste, viene crocifisso e muore per noi. Il senso di tutto è un amore indicibile dunque. Contempliamo stupiti e attoniti l’immensità dell’amore di Dio, e lasciamoci attrarre – come le donne – sotto la croce, lasciamoci travolgere fino a sentire profondamente che, senza questo amore, non vogliamo nemmeno pensare di vivere.
E’ concepibile affermare che, per Amore, Dio (Padre, Figlio e Spirito Santo) è morto sulla Croce per noi?!