L’Umbria è in ginocchio, e non solo in senso metaforico. Hanno fatto il giro del mondo le foto dei fedeli genuflessi in piazza a Norcia, dinanzi alle rovine della basilica di San Benedetto, la mattina di domenica 30 ottobre. Un moto di preghiera spontaneo, popolare, dinanzi alla forza sconvolgente del sisma. Una risposta indubbiamente assai diversa da quelle dei sismologi, dei tecnici, degli amministratori, dei politici… giustamente occupati a mettere in atto le proprie risorse e competenze per contrastare gli effetti del terremoto, per ora soprattutto in relazione ai disagi della popolazione colpita.
Una risposta apparsa quasi d’altri tempi, con quel gesto antico eseguito in pubblico, dinanzi agli occhi delle telecamere, e quindi in faccia al mondo. Una risposta, peraltro, che rende patente ciò che è accaduto in tante altre chiese della regione e anche nel segreto delle case e dei cuori: fermarsi in preghiera, compresi della propria piccolezza e affidati alla misteriosa provvidenza di Dio. Un “rientrare in se stessi” doloroso e sincero, di fronte all’evidenza della propria impotenza, come recitava appunto la prima lettura della XXXI domenica: “Signore, tutto il mondo davanti a te è come polvere sulla bilancia” (Sap 11,22).
Al di là della naturale empatia che suscitano le persone che soffrono, qualcuno avrà mestamente sorriso nel vedere quella gente in ginocchio: “Ecco la solita religione consolatoria e patetica, che si rifugia nell’illusione del Divino quando non riesce a capire e a fronteggiare la realtà; ecco le solite quattro vecchine, che ripetono abitudini ancora più arcaiche, residui dell’ignoranza e dell’impotenza pre-scientifiche e pre-teconologiche”. Altri invece – e io con loro – vi hanno scorto la manifestazione di una sapienza profonda: la consapevolezza della radicale precarietà di tutto ciò che è umano; l’affetto per le proprie radici culturali e spirituali; la possibilità di una speranza anche quando tutto sembra perduto, in virtù della fiducia nella vicinanza di Dio. Di queste cose anche l’uomo scientifico e tecnologico non può fare a meno, come ha ricordato – con linguaggio laico – Papa Francesco nella Laudato si’.
Inseguire il sogno di “tutto controllare e tutto dominare”, infatti, si è rivelato una pericolosa illusione, che ha deteriorato la Terra in modo forse irreparabile; la dimenticanza del passato ci ha reso incapaci di dare un senso al presente, abbandonandolo alla legge del più forte; la perdita della fiducia e della speranza è una malattia che affligge ormai endemicamente la nostra economia e la nostra società. L’Umbria, allora, si inginocchia. Non per piangere la propria sconfitta e disperazione, ma per appoggiare la propria fiducia e la propria speranza su fondamenta ben più solide di quelle sgretolate dal terremoto. Mancando le quali, non saranno sufficienti i soldi e la tecnologia per far rinascere un angolo d’Italia che da millenni custodisce il segreto della santità e che ha saputo “esportarlo” in Europa e nel mondo. La gente di san Benedetto, di santa Rita, dei monaci siriani, degli eremiti di ogni tempo… continua pertanto a inginocchiarsi, come gli altri umbri, perché sanno che “l’uomo che prega ha le mani sul timone della storia” (san Basilio).