di Daris Giancarlini
Uno dei paradossi più eclatanti di questi tempi riguarda quella che viene definita ‘privacy’, cioè il diritto della persona di controllare che le informazioni che la riguardano vengano trattate da altri solo in caso di necessità.
Ma quando mai?! Hai il tuo telefono cellulare, il numero lo dai solo ai parenti stretti e agli amici più fidati… e continuamente, durante la giornata, ti arrivano chiamate da ditte e aziende con le quali non hai mai avuto contatto (e che quindi il tuo numero lo hanno avuto da altri, in una sorta di commercio dei dati personali) e messaggi via internet su prodotti e promozioni commerciali delle quali non ti importa nulla.
Questo ‘bombardamento’ che sbriciola il muro della tua voglia di startene in disparte ti fa venire in mente quella volta che hai acquistato quel tale prodotto, e nel negozio ti hanno fatto firmare un documento scritto piccolo piccolo. Ecco, con quella firma, tu che tiene tanto alla privacy hai detto “ok, fate girare i miei dati…”.
Mea culpa, dunque. Certo che sì; un mea culpa ancora più grande da fare nel momento in cui siamo noi stessi a spiattellare al nostro prossimo dati che riguardano la nostra vita privata. Come le foto e i filmati della nostra quotidianità che mettiamo ogni giorno in Rete. O peggio, le immagini dei bambini. Già, i bambini: almeno a loro, finché non crescono, lasciamo un po’ di privacy.