Unità e federalismo sono due valori ma, senza un’anima che li racchiuda e li sostenga entrambi, contengono un rischio. Inoltre, nella nostra società e nella nostra cultura, dobbiamo recuperare il valore del limite, della limitazione reciproca, in ordine al raggiungimento di un bene superiore e più grande. Ad affermarlo l’arcivescovo di Genova e presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco, nel saluto che ha portato il 14 maggio al convegno “Unità, federalismo, fraternità: un percorso possibile” organizzato a Genova dal movimento dei Focolari, in occasione dei 10 anni dalla cittadinanza onoraria conferita dal capoluogo ligure a Chiara Lubich e per celebrare i 150 anni dell’Unità d’Italia.
Evitare il rischio della chiusura. “L’Unità – ha detto il Cardinale – è un grande valore ma, se non stiamo attenti, può diventare chiusura, c’è il rischio della possibilità di diventare chiusura, di diventare esclusione; così come il federalismo, altro grande valore all’insegna delle specificità, delle differenze virtuose, racchiude un rischio anch’esso perché può diventare dispersione”. Per “evitare il rischio e valorizzare il meglio di queste due realtà”, per “declinarle insieme, sul piano cultuale, politico, sociale” serve “un’anima che ispiri, che sia il grande valore dell’unità, del federalismo, per non dire diversità, localizzazione, specificità, tradizioni, storia”. Serve, ha aggiunto, “un’anima che dia prospettiva, visione, in modo da creare un progetto, e non solo un’intenzionalità immediata, per superare al meglio gli ostacoli, gli obiettivi immediati, gli interessi particolari”. Occorre “una visione, una prospettiva” perché, “senza un’anima, una moltitudine non diventa popolo, non esiste nazione e tanto meno Stato”. Occorre, ha spiegato ancora il porporato, “un’anima che fa da bussola, perché la storia non si ferma: bisogna accompagnarla, starci dentro in modo intelligente” come si vede, ha proseguito riferendosi alla cronaca sulle migrazioni di questi giorni, “questi cammini, questi movimenti nel Mediterraneo, non si fermano”.
La persona al centro. La bussola, ha quindi spiegato il porporato, è la persona e “la fraternità è un aspetto, all’interno di quella realtà molto più complessa, ricca e decisamente fondativa che è la persona. La persona – ha proseguito – nella visione cristiana, ma ormai, almeno a livello teoretico, anche di coscienza universale, è stata acquisita come centrale per cui, mai, può diventare mezzo, o strumento, ma sempre fine di tutto”. E, ha aggiunto, “storicamente parlando, la persona ha assunto la propria autocoscienza a partire dal cristianesimo, a partire dal Vangelo”. Tanto che ci sono molti autori e studiosi “di grande onestà e di provenienze diverse, anche lontane dalla visione cristiana, che, con molta semplicità, lo riconoscono”. È un modo “per avere un punto di riferimento che, al di là della fede diventa per tutti, a livello culturale, un criterio di giudizio perché il concetto di persona non si corrompa, strada facendo, piegandosi ad interessi culturali o altro ma rimanga centrale e quindi di tutti, per il bene della nazione e dell’uomo, e della società”. Il valore del limitarsi.
Il Cardinale ha poi messo in evidenza una categoria della persona, “della sua libertà e della fraternità che la impasta”. E la fraternità “diventa l’anima di ogni processo di unità e di diversità, di comunione e di federalismo, ed è quello per cui dobbiamo accettare di essere limitati, di limitarci gli uni gli altri perché ogni forma di rapporto, di convivenza, di socialità a tutti i livelli, contiene inevitabilmente la necessità di limitarci a vicenda, nella positività di un valore maggiore in cui tutti ci ritroviamo”. “Oggi – ha proseguito – tutti noi dobbiamo recuperare, nella nostra cultura, il valore del limitarci a vicenda non come un dato negativo e, quindi, da estromettere, istinto molto diffuso oggi, ma come un valore, una strada, in cui ritrovarci per una sintesi superiore, per un valore superiore e più grande. La nostra libertà, la libertà di ciascuno – ha concluso – ha bisogno della libertà degli altri per poterci, insieme, mentre ci limitiamo vicendevolmente, realizzarci ad un livello più grande. È il mio io, che incontrando il tu dell’altro, si ritrova in un noi più grande, ricco e costruttivo”.
La Carta di Genova.
Dopo i saluti delle autorità, si è svolta una tavola rotonda con la presentazione di un documento, la Carta di Genova, che sarà inviato al Parlamento, alla stampa, ai Comuni d’Italia e a quanti (associazioni o enti) vorranno aderirvi. Durante l’incontro sono state presentante anche alcune testimonianze di fraternità, concretizzate sia a livello istituzionale sia a livello di società civile, per dare evidenza che “il percorso della fraternità non è un’utopia ma una possibilità reale per la nostra società”.