Miserando atque eligendo recita il motto del Papa, riferendosi alla chiamata di Matteo dal banco delle imposte. La vocazione, prima ancota di un alzarsi e mettersi in cammino, è uno sguardo benevolo che si posa su di te. È una scommessa di Qualcuno che si fida di te. Mi ha sempre colpito questo Dio che chiede, che propone, che invita e desidera una risposta… M’ha colpito più del pescatore che lascia tutto e va. È meraviglioso quel Dio che scommette su di te di là dalle tue debolezze e infedeltà.
Sono don Francesco Cosa, di Città di Castello, attualmente parroco di Pietralunga. Sono nato a Bacau (diocesi di Iasi) nel 1973, sacerdote del clero di Bucarest dal 1998. Sono arrivato in Umbria nel gennaio del 2000, ricoprendo vari incarichi e ruoli.
Vorrei parlare innanzitutto della mia vocazione, che ha qualcosa di straordinario. È sorprendente vedere come Gesù, tra i miei amici – molti dei quali con qualità ben certificate – abbia scelto proprio me, debole e limitato. Questo è il miracolo più grande, perché capisci che, sebbene con tanti limiti e debolezze, sei importante per Dio, sei unico.
La mia vocazione matura nella mia famiglia. È lì infatti che, sin dal piccolino, ho pensato al sacerdozio. La Romania della mia epoca viveva momenti durissimi a causa del regime di Ceausescu. Diventare sacerdote per un adolescente era più che un’utopia, perché parlare di Dio era un reato.
La mia famiglia è numerosa: sei fratelli e due sorelle. Eravamo poveri, ma comunque sereni e felici. Nonostante il mio babbo, sindaco comunista del paese, fosse un servitore del regime, la mamma ci ha trasmesso la fede con coraggio e senza paura. Ci portava tutti giorni alla messa. Di giorno, mentre lavorava, ci stringeva intorno a lei per raccontarci le parabole e le storie dei santi. Quella dei missionari erano le mie preferite; mi entusiasmava molto. Più volte desideravo imitarli.
La sera, mentre cucinava, si recitava il rosario. Noi fratelli volevamo il nostro librettino personale di preghiera, ma la stampa cattolica era vietata. Se facevamo i bravi, la mamma ci regalava un taccuino e una penna e noi potevamo trascrivere dai libri più vecchi le nostre preghiere preferite. In questo contesto, nella mia famiglia sorgono le prime due vocazioni, nonostante l’opposizione di papà.
Dopo che i miei fratelli sono stati ordinati sacerdoti e dopo la caduta del comunismo, il mio desiderio di diventare sacerdote si è avverato. “Se divento sacerdote, vorrei andare in missione”. Dopo un anno di sacerdozio a Bucarest, mi presentai dal vescovo per parlargli di questo desiderio.
Come nelle storielle della mamma, sognavo il deserto o le foreste tropicali… “Andrai in Italia”, fu la risposta del vescovo, spiegandomi che l’Italia, l’Occidente, è una terra di missione per una nuova evangelizzazione.
A Città di Castello svolgo il ministero sacerdotale su due fronti: come parroco e come segretario dei vescovi, incarichi che mi danno gioia e appagano la mia vocazione. Per ben quindici anni sono stato di casa con i vescovi, condividendo con loro le ore d’ufficio e la quotidianità. Vorrei smentire una leggenda metropolitana secondo cui, più stai accanto a un vescovo, più perdi la fede; o che lavorare in Curia sarebbe una perdita di tempo. Non è affatto vero. Dai vescovi ho ricevuto molto sostegno nel mio cammino di sacerdote.
Da un anno sono parroco a Pietralunga, bellissima comunità di 2.000 abitanti, alla periferia della diocesi, direzione Gubbio. Qui, insieme agli operatori pastorali costruiamo belle cose approfondendo la nostra amicizia. Tutto il nostro operare è testimonianza della bellezza di essere Chiesa e famiglia.
Dopo un anno sono tanti i motivi di gratitudine: la squisita accoglienza, la cordialità dei rapporti, la ricchezza di momenti condivisi, la discreta generosità… Indimenticabili i momenti gioiosi: il Palio “della mannaia”, l’oratorio e il presepe vivente a Natale, la messa dei bambini e gli incontri del catechismo, i sacramenti, il campeggio parrocchiale, gli incontri con i giovani, gite, ecc.
Una particolarità per Pietralunga è l’accoglienza dei pellegrini che transitano da La Verna ad Assisi. Centinaia di pellegrini cercano alloggio in parrocchia, occasione per noi di vivere le opere di misericordia corporali. Sono grato al Signore perché ha posato lo sguardo su di me, e ogni giorno rinnova la Sua fiducia e la Sua amicizia.
Dalla Romania, dove parlare di Dio era reato
AUTORE:
Don Francesco Cosa
Un po’ esagerato … “parlare di Dio era un reato” …qnd le chiese erano sempre affollate della gente credente. All’epoca la domenica era rispettata ed era un giorno di grande festa per tutta la gente (non come lo è adesso).
Non credo sia esagerato. E’ comunque l’esperienza che ha vissuto nella sua famiglia. Va detto che la situazione dei cristiani era difficile, qualunque fosse a Chiesa di appartenenza, ma per i cattolici lo era più che per gli ortodossi. E la famiglia di don Cosa era cattolica. Per avere un’idea di come erano trattati i cattolici può cercare tra le molte testimonianze in internet. Mi limito a segnalare la tesimonianza di mons. Ioan Ploscaru, vescovo romeno perseguitato e imprigionato dal regime comunista, pubblicata nel libro “Catene e terrore. La Chiesa greco-cattolica romena nella bufera della persecuzione comunista attraverso la testimonianza del vescovo clandestino Ioan Ploscaru” (Ed. Deoniane) http://www.diocesiforli.it/-hcDocumento/id/1309/il-martirio-di-una-chiesa-e-di-un-vescovo-nella-bufera-della-persecuzione-comunista.html