Che la droga non fosse un problema ‘medico’ lo abbiamo affermato e difeso fin dai primi anni ’70, da quando abbiamo iniziato ad interessarci del fenomeno. Certo non è una scoperta che alla base d’uso di sostanze ci siano principalmente dei problemi esistenziali, sui quali appunto intervengono le comunità terapeutiche, almeno quelle che si riferiscono al ‘Progetto uomo’ che non è né una tecnica né una metodologia, ma uno stile di vita nel tentativo di rimettere la persona al centro della propria esistenza senza reclusioni sociali, religiose, politiche. Ci riferiamo all’intervista rilasciata a La Voce da don Lucio Gatti la settimana scorsa. A proposito dell’affermazione grave che ‘le comunità considerate luoghi di recupero terapeutico non hanno assolutamente nessun esito’ rispondiamo con le centinaia di giovani che in questi anni hanno superato il problema delle tossicodipendenze e vivono una vita all’insegna dei valori acquisiti durante il percorso comunitario. L’affermazione manca anche di rispetto a tutte le persone (operatori e volontari) che hanno contribuito alla buona riuscita di progetti terapeutici. Precisiamo che ogni persona ha i propri ritmi d’interiorizzazione di sviluppo e dei valori; accettiamo con umiltà che il seme gettato possa portare i suoi frutti anche se non immediatamente riscontrabili. Nell’articolo si dice anche: ‘Le prime comunità sono nate trenta anni fa dai preti’. Non è forse di questi pionieri che hanno profuso energia, impegno, amore, che occorre aver paura e rispetto? Questi ‘preti’ hanno avuto il coraggio di lottare contro una cultura e una mentalità ostili nei confronti dei tossicodipendenti e li hanno invece accolti e sostenuti in un cammino di riscoperta della vita. I preti degli anni ’70 hanno sensibilizzato l’opinione pubblica e hanno avviato uno spirito di collaborazione con le istituzioni verso un approccio umano e solidale alle problematiche legate alla devianza, ed hanno così aperto e facilitato la strada a chi si è accorto più tardi dell’esistenza di tali realtà. Stia tranquillo don Lucio che le nostre comunità sono un cammino di vita e non ci sono percorsi prestabiliti ma quelli che si adattano ad ogni persona nel rispetto dell’individualità. Affermiamo che ‘non ci sentiamo degli esperti’, ma compagni di viaggio dei ragazzi che ci chiedono aiuto, nel rispetto però della diversità dei ruoli coniugando umanità e professionalità, cioè accoglienza, assenza di giudizi, ma anche competenza e serietà. La stima e la credibilità acquisita in tanti anni di lavoro pur con le relative modificazioni richieste dal mutare delle sensibilità sociali, politiche ed economiche, c’incoraggiano a proseguire in questo impegno con la passione dei momenti iniziali e in leale e proficua collaborazione con le istituzioni, che condividono con noi l’attenzione per l’essere umano in difficoltà.
Dalla droga si esce, se alla base c’è un ‘Progetto uomo’. Grazie ai pionieri
In risposta a quanto affermato la settimana scorsa da don Lucio Gatti circa l''inefficacia' delle comunità terapeutiche
AUTORE:
Don Paolino Trani e Don Eugenio Bartoli