L’incontro ecumenico tenutosi due settimane fa in Svezia tra la Chiesa cattolica e la Federazione mondiale delle chese luterane è stato un evento storico. Non penso che sia avvenuto solo per buona volontà di uomini. Il vento dello Spirito ha riunito cattolici e luterani nella Cattedrale di Lund, un tempo cattolica, e da quasi cinque secoli luterana. Riuniti, potremmo dire, forse più per dimenticare quanto ci ha ferito e diviso che per ricordare gli intenti buoni in parte realizzati; più per pregare che per pretendere vicendevolmente ulteriori chiarimenti teologici.
L’incontro non è stato voluto con l’intento di giustificarsi o con la pretesa di “assolversi” a vicenda. La giustificazione e l’assoluzione vengono da Dio, contro il quale abbiamo peccato. I peccati dei cattolici non assolvono quelli dei luterani, né viceversa. “A te si addice la giustizia, o Signore – diceva il profeta Daniele (9,7) – a noi la vergogna sul volto”. Da parte di tutti la richiesta di perdono a Dio, dagli uni agli altri la richiesta di perdono vicendevole. La richiesta di perdono non è mancata del tutto in questi secoli di divisione. Già il papa Adriano VI, nel suo messaggio alla dieta di Norimberga del 1522-23 (quindi pochi anni dopo la scomunica inflitta dal papa precedente Leone X a Lutero), chiese scusa per comportamento inammissibile della Curia Romana nei confronti del riformatore. E Lutero deve anch’egli, da parte sua, aver sentito il peso delle sue mancanze, dal momento che le ultime parole da lui scritte e trovate sul suo tavolo di lavoro furono: “siamo dei mendicanti, questa è la verità”.
La presenza del Papa alla commemorazione dell’inizio della Riforma luterana è stata generalmente desiderata e gradita. Il suo ruolo di Pietro, portato con il consueto stile di semplicità e di vicinanza, è stato coinvolgente e convincente. “Vengo per avvicinarmi – aveva detto una recente intervista rilasciata a Signum, rivista dei gesuiti svedesi. La mia speranza e la mia attesa sono quelle di avvicinarmi di più ai miei fratelli e alle mie sorelle. La vicinanza fa bene a tutti. La distanza invece ci fa ammalare”. Franceso è venuto a fare memoria, a pregare, ad esortare; a togliere ogni residuo di arroganza, di distanza, di indifferenza. È venuto nel nome del Signore Gesù, fattosi umile e vicino a tutti noi. Ha dato una parola da parte di Dio a tutti, cattolici e luterani. Insieme al presidente della Confederazione Luterana Mondiale ha esortato a un impegno comune specialmente per la giustizia, la pace, l’ambiente: impegno firmato poi da ambedue.
Nessun trionfalismo nella commemorazione dell’inizio della Riforma. Si è voluto un incontro fraterno. Fino a 50 anni fa la ricorrenza era occasione di accese polemiche tra protestanti e cattolici. Possiamo veramente dire: acqua passata. Si è accuratamente evitato di chiamare la ricorrenza ‘festa’ o ‘giubileo’. È stata pensata come momento di riflessione, preghiera, speranza. Speranza di raggiungere domani quello che oggi di fatto non è possibile; come invito a mettersi davanti al Signore e implorare; come esortazione a domandarsi, secondo quanto già diceva Giovanni Paolo II a Uppsala nel 1989, cosa possiamo imparare gli uni dagli altri.
Noi cattolici ci uniamo ai fratelli luterani nella memoria della Riforma. Sappiamo bene che la verità è senza sconti, ma anche che la carità deve essere senza limiti. Siamo invitati ad essere fedeli a tutto quello che Gesù ci ha insegnato, lui che ci ha anche donato il suo Spirito per compierlo. Sentiamo la gioia di una comunione che gradualmente, per impulso della grazia, viene recuperata. Si gioisce di più per quello che si ritrova che non per quello che mai si è perduto. C’è sofferenza per le ferite del passato, c´è gratitudine per il cammino fatto “dal conflitto alla comunione”, c’è speranza e ovvia necessità di proseguire questo cammino.
In alcune chiese luterane è stata recentemente collocata un’icona o una statua di Maria. In alcune altre, originariamente cattoliche, è stata conservata l’icona di Pietro affiancata a quella di Paolo. Confidiamo che nel tempo si possa arrivare di nuovo a professare insieme la fede nella reale presenza eucaristica e quindi a poter celebrare alla stessa mensa la liturgia della piena unità, l’Eucaristia. Ma non possiamo usare come mezzo quello che è il fine da raggiungere. Facciamo bene quello che tocca al nostro tempo. “Non tocca a te compiere l’opera – diceva un sapiente ebreo – ma non questo non ti esonera dall’impegnarti in essa”.
Continuiamo ad avvicinarci al Signore, dal punto in cui ognuno di noi si trova. Si può applicare anche al campo ecumenico l’esortazione che un abate faceva ai suoi monaci: “Immaginiamo un cerchio. Ognuno di noi sta in un punto della circonferenza. Gesù è il centro del cerchio. Quanto più ognuno di noi si dirige verso il centro, cioè verso Gesù, tanto più ci avviciniamo gli uni agli altri”. Che la nostra preghiera lo chieda e il Signore lo compia! “Padre, che tutti siano uno e il mondo creda che tu mi hai mandato!”.