Mi piace ricordare la bella liturgia che si è svolta domenica 3 agosto nella nuova concattedrale di Bar nel Montenegro a cui hanno partecipato anche alcuni sacerdoti e un gruppo di fedeli di Perugia. Si è trattato della benedizione dei nuovi locali pastorali posti sotto l’edificio di culto in costruzione. Oltre all’arcivescovo di Bar, mons. Zef Gashi, erano presenti anche il Vescovo di Sapa, in Albania, e l’amministratore apostolico del Kosovo. La circostanza che ci ha fatto incontrare nella cattedrale in edificazione è stata il ricordo di un vescovo che, nel lontano Medioevo, fu pastore di quella comunità. Si tratta di un personaggio quasi mitico: fra’ Giovanni da Pian del Carpine. Un francescano, tra i primi seguaci del Poverello di Assisi, nativo di una località vicina a Perugia (Pian del Carpine appunto, l’odierna Magione). Fra’ Giovanni, dopo aver compiuto, per volontà di papa Innocenzo IV, l’intrepido viaggio verso le terre dei Mongoli, con lo scopo di scongiurare nuovi feroci attacchi alla cristianità, ma anche con lo spirito di incontrare con rispetto e interesse le popolazioni lontane, rientrò in Europa carico di prestigio e ammirazione, nonché di conoscenze che sono ancora fonti storiche preziose.
Il viaggio verso l’Impero mongolo di Giovanni da Pian del Carpine fu lunghissimo e avventuroso. Molto si sa di questo viaggio (che attraverso la Polonia e poi la Russia sembrava doverlo condurre ai confini del mondo) grazie allo straordinario resoconto che egli stesso ne diede nella sua Historia Mongalorum, l’opera che scrisse al ritorno dalla sua missione, trattando degli usi e costumi dei Mongoli. Il suo itinerario si sviluppò da Cracovia a Kiev, superando poi il fiume Volga e il mar Caspio, per giungere sul lago di Aral; da qui si diresse verso il lago Balqas per proseguire in direzione di Karakorum, dove per la prima volta incontrò il Khan e la nobiltà mongola. Dalle pagine della sua cronaca risuona vivida la voce umile e al contempo risoluta di Giovanni, uomo che, per primo e dal vero, svelò agli europei i segreti di quell’Estremo Oriente. Il Papa lo nominò arcivescovo di Antivari, missione che svolse per alcuni anni, fino alla morte, avvenuta tra fine luglio e l’inizio di agosto dell’anno 1252. La nobile figura dell’arcivescovo Giovanni tiene unite, in qualche modo, le comunità cristiane di Perugia e di Bar-Antivari. Ci ha fatto riscoprire legami storici che si sono rarefatti nella memoria, ma non perduti: soprattutto, ci ha proposto quell’unione profonda che scaturisce dalla fede comune nel Signore Gesù Cristo, nostro Salvatore. Nell’omelia che ho avuto la gioia di pronunciare durante celebrazione eucaristica, ho sottolineato la responsabilità che tutti abbiamo di essere mediatori della grazia dei doni del Signore. Fra’ Giovanni fu inviato dal Papa nella lontana Mongolia per annunciare a quei popoli la buona novella del Vangelo e portare a tutti una parola di pace: così anche noi, oggi, siamo inviati a un popolo numeroso che, anche nella nostra vecchia Europa, ha perso la strada della vera ricchezza, quella evangelica, e non cerca più quel Pane di vita che è stato suo nutrimento per tanti secoli. Siamo eredi di una gloriosa storia di vita e di santità che ci viene dai secoli passati, fonte di civiltà e di bellezza. Cordialissimo è stato anche l’incontro con i sacerdoti del luogo e con i fedeli di religione cattolica che, pur non raggiungendo il 10 per cento della popolazione, erano presenti in numero di circa 700.
Anche questo evento sottolinea l’importanza della presenza francescana nell’Umbria e a Perugia, fin dalle sue origini, dal momento che un discepolo e seguace di san Francesco poté compiere una missione tanto ardua che lo portò a diffondere il Vangelo fino a terre così lontane e sconosciute.