Il Centro Speranza di Fratta Todina da trent’anni organizza una “Camminata della speranza” pensata non tanto “per” ma “con” i disabili gravi, e le loro famiglie, che ogni giorno frequentano il Centro.
Nella presentazione dell’iniziativa alla stampa la parola che più è echeggiata è stata proprio “speranza”, e non solo perché è il nome del Centro voluto dalla beata Madre Speranza, fondatrice del Santuario dell’Amore misericordioso di Collevalenza.
“Speranza” è, in realtà, quello che si respira nel racconto di chi opera con persone che fin dalla nascita hanno dei limiti fisici e psichici importanti e con il proprio lavoro riesce a far stare meglio il disabile e la sua famiglia.
“Dal Centro nessuno esce guarito, non facciamo miracoli, ma in questo Centro accogliamo e curiamo, e ci piace paragonarlo ad una SPA dove si va per stare meglio”. Il paragone sembra temerario, ma a farlo è madre Maria Grazia Biscotti, la religiosa delle Ancelle dell’Amore Misericordioso fondate da Madre Speranza, responsabile del Centro.
Il disabile, infatti, ripetono, “non è un malato, non ha una malattia da cui può guarire, perché la disabilità è una condizione”. E il disabile lì è una persona accolta e amata per quello che è.
Questo quotidiano accogliere persone che nella società“normale” sono indicate come “ultimi”, se non inutili, è un elemento di speranza per tutti, anche per i “normali” che spesso non si sentono amati per ciò che sono, sono messi sotto pressione per fare, apparire, competere…
E allora l’altra osservazione che dovremmo tenere presente è che una città o paese in cui i disabili possono muoversi in autonomia sulle strade e negli edifici perché non ci sono più barriere architettoniche, è una città sicura e vivibile anche per i “normali”.
Una sanità che mette al centro dei suoi protocolli la persona, con tutte le sue disabilità, è una sanità che mette al centro del sistema la persona e non le sue malattie, con beneficio anche dei “normali”.
E gli esempi potrebbero continuare per dire una cosa semplice, ma non scontata: la società che ha cura dei suoi membri più fragili è una società in cui tutti vivono meglio. Non è questione di soldi, di investimenti (o meglio, non solo) è questione anzitutto di cultura, di organizzazione, di modalità di approccio.
Infine, ma non ultimo, la disabilità che si acquisisce nel corso della vita è una condizione sempre più diffusa perché legata all’invecchiamento, e dunque potrebbe essere la condizione in cui ciascuno di noi potrebbe trovarsi.
Ragione in più per chiedere alla politica di mettere al centro dei programmi le persone, a cominciare dalle più fragili.