“Io credo che se l’Italia ancora è tanto forte, non è tanto per noi vescovi, ma per i parroci, per i preti”. Con queste parole, pronunciate a braccio, Papa Francesco ha concluso il suo discorso al clero romano giovedì 6 in aula Paolo VI per il tradizionale incontro di inizio Quaresima. “È vero! Non è un po’ d’incenso per confortarvi – ha puntualizzato -, i preti dell’Italia sono bravi”.
Al centro del discorso, la misericordia, a partire dall’intuizione di Giovanni Paolo II. “Questo nostro tempo è il tempo della misericordia”, ha affermato Francesco, esortando i parroci a “tenere vivo questo messaggio soprattutto nella predicazione e nei gesti, nei segni e nelle scelte pastorali”. Come? Scegliendo di “restituire priorità al sacramento della riconciliazione e, al tempo stesso, alle opere di misericordia”.
All’inizio del discorso, il Papa ha associato il termine misericordia a quello di compassione: la stessa che prova Gesù quando “cammina per le città e i villaggi” e vede le persone “stanche e sfinite, come pecore senza pastore. Un po’ come tante persone che voi incontrate oggi per le strade dei vostri quartieri – ha commentato. – Poi l’orizzonte si allarga, e vediamo che queste città e questi villaggi sono non solo Roma e l’Italia, ma sono il mondo, e quelle folle sfinite sono popolazioni di tanti Paesi che stanno soffrendo situazioni ancora più difficili”.
I preti “asettici”, “da laboratorio”, “non aiutano la Chiesa” ha aggiunto Bergoglio, secondo il quale “il prete è chiamato ad avere un cuore che si commuove. I preti si commuovono davanti alle ‘pecore’, come Gesù, quando vedeva la gente stanca e sfinita come pecore senza pastore”. Gesù “ha le viscere di Dio: è pieno di tenerezza verso la gente, specialmente verso le persone escluse, verso i peccatori, verso i malati di cui nessuno si prende cura”.
A sua volta, il prete è “uomo di misericordia e di compassione, vicino alla sua gente e servitore di tutti. Chiunque si trovi ferito nella propria vita, in qualsiasi modo, può trovare in lui attenzione e ascolto”. In particolare, il prete “dimostra viscere di misericordia nell’amministrare il sacramento della riconciliazione”.
Ai sacerdoti, il Papa ha additato “il criterio pastorale della vicinanza, della prossimità” e ha ribadito che “la Chiesa oggi possiamo pensarla come un ospedale da campo: c’è bisogno di curare le ferite, aperte e nascoste”.
“Né il lassismo né il rigorismo fanno crescere la santità”, ha ribadito il Papa, che ha usato anche toni scherzosi, fuori testo, parlando con i preti: “Abbiamo i pantaloni? Li dobbiamo portare, per parlare con Dio per il nostro popolo”. L’esempio citato è quello di Mosè: “Lotti con il Signore per il tuo popolo? Discuti con il Signore come ha fatto Mosè?”, ha chiesto il Papa, singolarmente, ai presenti. E ancora: “Tu piangi? O in questo presbiterio abbiamo perso le lacrime? Piangi per il tuo popolo? Quando un bambino si ammala, quando muore… Fai la preghiera d’intercessione davanti al tabernacolo? La sera, come concludi la tua giornata? Con il Signore? O con la televisione? Com’è il tuo rapporto con quelli che aiutano a essere più misericordiosi? Bambini, anziani, malati. Sai accarezzarli?”.
Ai parroci il Papa ha indicato la “sofferenza pastorale”, una “forma della misericordia” che “vuol dire soffrire per e con le persone, come un padre e una madre soffrono per i figli e, mi permetto di dire, anche con ansia”. Alla fine, “saremo giudicati su come avremo saputo avvicinarci a ogni carne, farci prossimo alla carne del fratello”.
In due parentesi fuori testo, Francesco ha citato l’esempio di due “grandi confessori” di Buenos Aires. Del primo ha raccontato lo scrupolo di “perdonare troppo”, dal quale si è ironicamente auto-assolto confrontandosi con il “cattivo esempio” dato da Gesù stesso.
Il secondo era “un confessore famoso; quasi tutto il clero si confessava da lui”, anche Giovanni Paolo II una delle due volte che si è recato a Buenos Aires. E ha raccontato del giorno della morte di questo sacerdote, quando lui, allora vicario generale, si è recato nella chiesa dove era la bara. Sorpreso per l’assenza di fiori in omaggio a un “uomo che ha perdonato i peccati a tutto il clero di Buenos Aires”, ha comprato rose in una fioreria: “Sono tornato e ho cominciato a preparare bene la bara, con i fiori. Ho guardato il rosario che aveva in mano e subito è venuto in mente quel ladro che tutti noi abbiamo dentro, e mentre sistemavo i fiori ho preso la croce del rosario e con un po’ di forza l’ho staccata. In quel momento l’ho guardato e ho detto: ‘Dammi la metà della tua misericordia’. E poi, quella croce l’ho messa qui, in tasca…”
“Da quel giorno, fino ad oggi, quella croce è con me”, ha svelato il Papa: “E quando mi viene un cattivo pensiero contro qualche persona, la mano mi viene qui, sempre, e sento la grazia che mi fa bene”.