Se è vero che il crocifisso è prima di tutto un simbolo religioso, non sussistono tuttavia nella fattispecie elementi attestanti l’eventuale influenza che l’esposizione di un simbolo di questa natura sulle mura delle aule scolastiche potrebbe avere sugli alunni”. È questa la conclusione cui è giunta il 18 marzo la Grande Chambre della Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo con la sentenza sul caso Lautsi-Italia. L’emblema più conosciuto della fede cristiana può dunque rimanere nelle aule di scuola senza temere per la libertà di educazione e il diritto all’istruzione dei ragazzi e dei giovani, così come garantito dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Dubbi legittimi, ma il caso è chiuso. “Nella sentenza definitiva della Grande Chambre, pronunciata nel caso Lautsi e altri contro Italia – si legge in una nota ufficiale -, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha concluso a maggioranza (15 voti contro 2)” per la “non violazione dell’articolo 2 del Protocollo n° 1 (diritto all’istruzione) alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo”. Il caso, ricorda la stessa Corte, “riguardava la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche in Italia, incompatibile, secondo i ricorrenti, con l’obbligo dello Stato di rispettare, nell’esercizio delle proprie funzioni in materia di educazione e insegnamento, il diritto dei genitori di garantire ai propri figli un’educazione e un insegnamento conformi alle loro convinzioni religiose e filosofiche”. La Grande Chambre, correggendo la precedente sentenza del novembre 2009 di una delle Camere della Corte, afferma: “Pur essendo comprensibile che la ricorrente possa vedere nell’esposizione del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche frequentate dai suoi figli una mancanza di rispetto da parte dello Stato del suo diritto di garantire loro un’educazione e un insegnamento conformi alle sue convinzioni filosofiche, la sua percezione personale non è sufficiente a integrare une violazione dell’articolo 2 del Protocollo n° 1”. Tale sentenza, che è definitiva, è stata subito trasmessa – come hanno spiegato i 17 giudici, presieduti dal francese Jean-Paul Costa -, al Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, massimo organismo politico dell’istituzione, per controllarne l’esecuzione. Tradizione da rispettare. Analizzando la sentenza emersa dalla Grande Chambre, emergono anche argomenti che probabilmente solleveranno dibattito a livello politico e giurisprudenziale sia in Italia che in Europa. La Corte infatti afferma: “Il Governo italiano sosteneva che la presenza del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche rispecchia ancora oggi un’importante tradizione da perpetuare. Aggiungeva poi che, oltre ad avere un significato religioso, il crocifisso simboleggia i principi e i valori che fondano la democrazia e la civilizzazione occidentale, e ciò ne giustificherebbe la presenza nelle aule scolastiche”. Dalla Corte giungono a tale riguardo due riflessioni: “Quanto al primo punto, la Corte sottolinea che se, da una parte, la decisione di perpetuare o meno una tradizione dipende dal margine di discrezionalità degli Stati convenuti, l’evocare tale tradizione non li esonera tuttavia dall’obbligo di rispettare i diritti e le libertà consacrati dalla Convenzione e dai suoi Protocolli”. In relazione al secondo punto, “rilevando che il Consiglio di Stato e la corte di Cassazione” italiani “hanno delle posizioni divergenti sul significato del crocifisso, e che la Corte costituzionale non si è pronunciata sulla questione, la Corte considera che non è suo compito prendere posizione in un dibattito tra giurisdizioni interne”. Nessun indottrinamento. La sentenza constata che nel rendere obbligatoria la presenza del crocifisso a scuola, “la normativa italiana attribuisce alla religione maggioritaria del Paese una visibilità preponderante nell’ambiente scolastico. La Corte ritiene tuttavia che ciò non basta a integrare un’opera d’indottrinamento da parte dello Stato”. La Corte sottolinea ancora che “un crocifisso apposto su un muro è un simbolo essenzialmente passivo, la cui influenza sugli alunni non può essere paragonata a un discorso didattico o alla partecipazione ad attività religiose”. Inoltre per i giudici “gli effetti della grande visibilità che la presenza del crocifisso attribuisce al cristianesimo nell’ambiente scolastico debbono essere ridimensionati” in quanto “tale presenza non è associata a un insegnamento obbligatorio del cristianesimo; secondo il Governo lo spazio scolastico è aperto ad altre religioni (il fatto di portare simboli e di indossare tenute a connotazione religiosa non è proibito agli alunni, le pratiche relative alle religioni non maggioritarie sono prese in considerazione, è possibile organizzare l’insegnamento religioso facoltativo per tutte le religioni riconosciute, la fine del Ramadan è spesso festeggiata nelle scuole…); non sussistono elementi tali da indicare che le autorità siano intolleranti rispetto ad alunni appartenenti ad altre religioni”.