Il sabato è passato, e inizia un nuovo giorno. È vero, inizia in maniera triste, come spesso è triste la nostra vita. È un’alba triste, presso un sepolcro. La tomba di Gesù non è una tomba speciale. È come le altre. Semmai con una tristezza in più: in essa finisce non solo un amico, termina anche la speranza di un regno nuovo. Se il mondo avesse il coraggio di fermarsi presso le tombe, sentirebbe un nodo di angoscia e un senso di paura. E le tombe non sono solamente i cimiteri.
Paesi interi sono divenuti come grandi tombe, per l’oppressione, la violenza, la guerra.Davanti a questo panorama di morte, molti uomini fuggono, come fecero anche i discepoli di Gesù. Solo due donne, scrive il Vangelo di Matteo, si fermano. La prima, Maria di Magdala, è una donna un po’ strana: è stata guarita da sette demoni. L’altra Maria è forse la madre di Giacomo. Sono due povere donne galilee, venute a Gerusalemme dietro a Gesù. Ora, smarrite e sballottate dopo le tristi vicende accorse al loro maestro, non sanno fare altro che recarsi al sepolcro. All’alba sono già lì. Ma ecco, un “grande terremoto”: un angelo appare e rotola via dal sepolcro la pietra pesante che lo chiudeva.
È la prima pasqua cristiana. Quelle due povere donne rimasero tramortite per lo spavento, nota l’evangelista. Da quella pietra rivoltata, divenuta un nuovo pulpito, l’angelo proclamò il Vangelo della risurrezione: “Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto”. Questa è la prima Pasqua: ed è per una piccola comunità di due sole povere donne, straniere e disprezzate. Ancora una volta si compie quello che Gesù aveva detto: “Ai poveri è predicata la buona novella, e beato chi non si scandalizza di me”.
È la prima Pasqua. Ma anche se è a due sole povere donne, non è un fatto privato; è per tutti i discepoli: “Presto, andate a dire ai suoi discepoli: è risuscitato dai morti, e ora vi precede in Galilea; là lo vedrete”. Dalla Galilea i discepoli dovevano iniziare ad annunciare la risurrezione a tutti gli uomini sino ai confini della terra. Proprio lì da dove aveva iniziato Gesù. I discepoli debbono ripartire da Gesù e camminare e parlare e agire come ha fatto lui. L’annuncio della risurrezione deve scuotere l’intera vita degli uomini, da capo a fondo.
La resurrezione è un vero e proprio terremoto. Scuote la terra, rivolta i cuori, rimuove le pietre pesanti che gravano sulla vita e la libera. Il crocifisso, quel morto in croce è stato rivestito della potenza di Dio. La croce che appariva come l’impotenza, è diventata forza di Dio. Nella tradizione iconografica delle Chiese d’Oriente la croce porta da un lato Gesù crocifisso e dall’altro Gesù risorto. Nelle apparizioni è il crocifisso che appare risorto, per manifestare la perennità del suo amore per noi: come era stato crocifisso per noi, così viene risuscitato per noi.
È questo l’annuncio che quelle donne ricevono dall’angelo, e che provoca gioia grande e assieme timore. Gioia perché intuiscono che Gesù potrà restare con loro, ma anche timore per trovarsi immerse nel giorno di Dio. Esse “abbandonano in fretta” il sepolcro. Non restano ferme là dove sono. Non si può indugiare davanti all’annuncio della risurrezione. C’è fretta; fretta di annunciare la liberazione ai prigionieri del male, a chi è sepolto dalla cattiveria, a chi è schiavo dell’orgoglio e dell’odio, a chi è schiacciato dalla fame e dalla guerra. Anche due povere donne possono farlo. Proprio loro, disprezzate e per nulla considerate, sono le prime inviate per annunciare il Vangelo. Mentre corrono, nota Matteo, vedono venire incontro a loro Gesù. Esse lo abbracciano e si sentono dire da Gesù stesso di essere le annunciatrici della risurrezione.
La Pasqua torna perché anche noi, come loro, possiamo abbracciare nuovamente il Signore e sentire ancora una volta la Parola del risorto che ci invia ad annunciare la vittoria della vita sulla morte sino agli estremi confini della terra.