“Grazie per la vostra testimonianza. Ho visto gente fiera, attaccata alla fede. Nel vostro sguardo leggo dignità e senso di appartenenza. Porteremo con noi, alle nostre Chiese locali, la vostra testimonianza di una fede che si conquista giorno per giorno. Voi avete il compito di tenere accesa la speranza di pace e di giustizia di questa terra per lenirne le ferite. Continuate a coltivare questo sogno di pace”. Così il card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei, ha salutato la piccola comunità cattolica di Gaza, che si era riunita all’interno dei locali della parrocchia della Sacra Famiglia, guidata da padre Jorge Hernandez, religioso argentino dell’Istituto del Verbo incarnato.
Quello di lunedì 3 novembre è stato un giorno importante per i cattolici di Gaza, poco meno di 150 fedeli che hanno atteso con ansia l’arrivo della Presidenza della Cei, guidata dal card. Bagnasco accompagnato dal segretario generale, monsignor Nunzio Galantino, e dai tre vice-presidenti, l’arcivescovo di Torino, monsignor Cesare Nosiglia, il cardinale arcivescovo di Perugia Angelo Bassetti, e il vescovo di Aversa, monsignor Angelo Spinillo. Una visita di solidarietà che ha rotto lo stretto isolamento in cui da giorni versa Gaza, sigillata da Israele dopo il lancio di un razzo. Chiusi i valichi di Erez e di Kerem Shalom e chiuso anche il confine con l’Egitto, a Rafah.
I tamburi degli scout schierati hanno accolto la delegazione mentre il corteo dei pick up blindati delle Nazioni Unite su cui viaggiava faceva il suo ingresso nel cortile della parrocchia. E poi tanti bambini e giovani a correre incontro ai vescovi per salutarli. Un’accoglienza festosa che aveva già avuto un anticipo, la mattina, al valico di Erez quando al posto dei sorrisi dei bambini si erano viste forti strette di mano di uomini segnati dalla sofferenza di tante guerre subite e forse combattute. Per l’occasione avevano indossato i loro abiti migliori, così come padre Jorge che sulla talare nera aveva messo la kefiah palestinese.
Ed è stato un vero pellegrinaggio tra le macerie delle 60mila abitazioni distrutte dallo scambio a fuoco tra Israele e Hamas, scheletri di case ormai svuotate di oggetti e di affetti, divenute pericolosi luoghi di gioco per piccoli e meno piccoli. Un lungo giro su strade a dir poco dissestate per ricordare i 52 giorni di guerra dell’operazione “Margine protettivo” e i 2.139 morti palestinesi. Sui viali, agli angoli delle stradine, grandi poster che celebrano “i martiri” di questa guerra, coloro che sono caduti combattendo per Gaza, ma non si fa in tempo a vederli tutti.
Padre Jorge incalza: “questo era un ospedale, qui c’erano abitazioni da dove sparavano razzi, quello che si vede un po’ più avanti, invece, era una fabbrica di biscotti” e poi “le montagnole da dove sparavano i carri armati e i vicoli da dove sono penetrati a piedi i soldati israeliani, i resti dei tunnel distrutti”.
Un racconto in sequenza che cattura occhi e cuore con la delegazione Cei in piedi ad ascoltare e a fare domande. Intorno nugoli di bambini vocianti, qualcuno mostra le dita a mo’ di “vittoria”, i più giocano intralciando la strada dei pick up che a fatica riprendono il viaggio, sgommando nel fango melmoso. E poi ancora macerie. Un salto all’ospedale giordano, tra i pochissimi presidi ospedalieri della Striscia, per ascoltare quante persone oggi a Gaza portano sul loro corpo ferite, menomazioni e mutilazioni varie e poi alla scuola del Patriarcato Latino, uno dei tre istituti cattolici della Striscia.
Le lezioni sono riprese già da diversi giorni, i lavori di riparazione dei danni provocati dalla guerra sono stati prontamente conclusi. Qui la Cei ha, tra l’altro, finanziato la costruzione di una grande sala didattica. Vivace lo scambio dei vescovi con i giovani delle ultime classi, culminato con “in bocca al lupo per l’esame di fine corso” e la consapevolezza che “i giovani di Gaza sono la vera risorsa di questa terra, il suo futuro. Siamo rimasti colpiti dalla loro voglia di vivere” nonostante tre guerre negli ultimi anni sei anni (da fine 2008). Ma la speranza a Gaza abita anche nell’istituto delle suore di Madre Teresa di Calcutta che assistono oltre trenta bambini orfani, disabili fisici e mentali, “spesso rifiutati dalle loro famiglie e che oggi sono i nostri angeli” dice con orgoglio padre George, mentre i vescovi giocano con loro. “Ne vorremmo prendere molti di più ma non possiamo. Il sogno sarebbe quello di costruire una cattedrale della carità dove accogliere tutti questi piccoli angeli”.
Martedì ultima tappa della visita. Per la Presidenza della Cei è il momento di ascoltare la sofferenza della gente di Sderot, centro israeliano bersaglio dei razzi di Hamas. Poi a Gerusalemme per pregare al santo Sepolcro e il rientro in Italia. La testimonianza della comunità cattolica di Gaza attende di essere raccontata. Anche a Papa Francesco.