“Noi, popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le future generazioni dal flagello della guerra”. Questo è il senso dell’esistenza di quell’importante organismo sovranazionale come lo si legge nel preambolo della sua stessa Carta. Per questo, nella crisi ucraina l’Onu appare come la nobile assente, silente e sottomessa alla volontà delle grandi potenze.
Nell’articolo 2 è scolpito chiaramente il divieto agli Stati membri dell’Onu dell’uso della minaccia e della forza “contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato”. E ci saremmo aspettato l’applicazione dell’articolo 42 che riguarda le azioni che oggi chiamiamo di peacekeeping, ovvero l’invio di un contingente di polizia internazionale formato da eserciti di varie nazioni indipendenti a presidiare il territorio e, soprattutto, l’incolumità della popolazione dell’Ucraina.
E invece solo il silenzio. Perché lo Statuto di cui l’Onu è prigioniera prevede il consenso del Consiglio di sicurezza composto proprio dalle stesse nazioni coinvolte nella crisi e che per di più esercitano il diritto di veto. Ancora una volta, anche la crisi in Ucraina dimostra che il compito più urgente è la riforma dell’Onu.