Che significato ha l’imposizione delle mani nel sacramento della confermazione? In che senso viene donato lo Spirito? E perché sette doni?
Nel rito della confermazione, dopo la rinnovazione delle promesse battesimali il vescovo invita la comunità alla preghiera affinché i cresimandi possano ricevere il dono dello Spirito santo che li confermi con i suoi doni e li renda, con l’unzione crismale, conformi a Cristo. Quindi dopo un breve momento di silenzio il vescovo impone le mani su tutti i cresimandi e prega il Padre affinché effonda su di loro lo “Spirito Paràclito: spirito di sapienza e di intelletto, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di scienza e di pietà, e riempili dello spirito del tuo santo timore”.
Negli Atti degli apostoli a più riprese il gesto di imposizione delle mani ha a che fare con il dono dello Spirito, basti ricordare due episodi: At 8,4-25 e 19,1-6. Nel primo caso alcuni samaritani, convertiti dalla testimonianza di Filippo, si fanno battezzare. Gli apostoli, saputo dell’accaduto, inviano Pietro e Giovanni perché preghino per loro affinché ricevano lo Spirito santo.
Pietro e Giovanni, arrivati, “imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito santo”. Nel secondo racconto è Paolo a imporre le mani su circa dodici uomini di Efeso, i quali non appena hanno ricevuto lo Spirito profetizzano e parlano in lingue, co- me a Pentecoste (cfr. At 2). Il dono dello Spirito legato al gesto d’imposizione delle mani è collegato,soprattutto in quest’ultimo racconto, alla capacità di professare pubblicamente la fede.
Anche alcune fonti antiche come il De baptismo di Tertulliano o la Traditio apostolica, riportano – nella celebrazione dell’iniziazione cristiana – il rito di imposizione delle mani con una preghiera di invocazione collegata all’effusione dello Spirito. Quindi il gesto su cui stiamo riflettendo ha indubbiamente origini bibliche.
Anche la preghiera d’invocazione che abbiamo citato ha origine nell’antichità cristiana e certamente la sua composizione è di ispirazione biblica. Infatti nella prima parte, che potremo dire anamnetica, si ricorda l’opera che Dio ha compiuto nei cresimandi, rigenerandoli dall’acqua e dallo Spirito (cfr. dialogo tra Gesù e Nicodemo, Gv 3,4-5); mentre nella parte epicletica il vescovo, rivolto a Dio Padre, invoca l’effusione dello Spirito Paràclito (cfr. Gv 14,16) affinché vengano elargiti i sette doni dello Spirito.
Sette è un numero che si rifà a Isaia, il quale, profetizzando sul Messia, disse: “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse [padre di Davide], un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e d’intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore. Si compiacerà del timore del Signore” (Is 11,1-3).
Lo Spirito santo porta con sé questi doni spirituali il cui numero, sette, indica la pienezza. Doni che rendono il cristiano capace di professare la propria fede con la parola, ma soprattutto con la vita.
Don Francesco Verzini