Domenica scorsa, 6 maggio, anche nella nostra diocesi di Spoleto-Norcia è stata celebrata la Giornata mondiale delle vocazioni. Appena tre anni fa sembrava tutto finito. Il Seminario era chiuso, sia a Spoleto, da quando l’edificio era stato affittato all’Istituto alberghiero, sia a Norcia dove il Seminario sarebbe dovuto diventare dell’intera diocesi, ma non è stato così. Poi, mons. Fontana, poco dopo essere arrivato in diocesi, ha deciso di riaprire il seminario e restaurare S. Sabino. Nel restauro, si è optato per una architettura nuova; non più cameroni ma camere singole, ben 15 camere: e, non ce n’è più una libera. C’è anche il Seminario regionale di Assisi, ma i nostri sei teologi hanno la loro camera anche a Spoleto: non si interrompono i rapporti, specialmente con i tre che si stanno ancora preparando alla teologia. C’è poi un teologo al Capranica di Roma e un altro a S. Eutizio. Complessivamente dunque 11.Il merito, certo, va anche ad un rettore come don Sandro, giovane, intelligente, sensibile, che ricordo ancora al termine del liceo scientifico, quando, presa la maturità, decise di entrare in seminario. Guardiamo poi le statistiche nel mondo (dall’Annuario pontificio del 2000). C’è un dato che non si riscontrava dal 1978: i preti nel mondo sono oggi cresciuti, di poco magari, ma cresciuti, e sono cresciuti anche diaconi permanenti, missionari laici e catechisti. Ci si potrebbe obiettare che i flussi sono più soddisfacenti in Africa e in America latina, ma non importa. Mac Luhan parla del mondo come di “villaggio globale”, e in un villaggio non c’è niente che non si ripercuota. Potremmo anche dire della Costa d’Avorio, dove operano le suore della Sacra Famiglia di Spoleto: c’è una media di 150 domande per 70 posti disponibili in seminario. Per questo, i quattro vescovi della zona di Gagguoa hanno deciso di costruire un nuovo seminario a Issia, nonostante le difficoltà e gli inconvenienti. Mi ha colpito un giovane attore americano, Jeremy Sisto, … no, no, non si è fatto prete, ma ha dichiarato di essere completamente cambiato dal giorno in cui interpretò Gesù nel film “Jesus” (nella serie “The 60s”, un’audience di 12 milioni alla televisione italiana). Gli è stato domandato: “Come si è sentito nella parte di Gesù?” Stralciamo dalla risposta: “E’ difficile rispondere in maniera esauriente. Prima non avevo la fede, almeno intesa nel senso tradizionale … L’interpretazione del ruolo di Cristo mi ha fatto sentire Gesù molto vicino… questo ho cercato di trasmettere attraverso la mia interpretazione… Egli si è fatto uomo e come tale ha sofferto, ha riso, ha avuto paura, ha condiviso la nostra condizione umana. La vicenda di Gesù è stata e rimane una grande fonte di ispirazione per la mia vita personale e anche per la mia vita di attore”. Bravo Jeremy … ci ha indicato la via giusta: “sentirsi nei panni di Gesù”, e non davanti a una macchina da presa, ma realmente, nella vita sulla scena del mondo. E per la chiamata non di un regista, ma di Dio stesso. Val la pena allora di farsi “preti”. Provare per credere. Io ho 82 anni e benedico ancora il primo giorno della chiamata. La morte è vicina? Bene: non ho sprecato il mio tempo. E’ l’anticamera della vita. Grazie Signore.
Cresce anche se di poco il numero dei seminaristi e non solo a Spoleto
Celebrata in diocesi la Giornata mondiale delle vocazioni
AUTORE:
Agostino Rossi