La corruzione è un male antico, non solo italiano, ma negli ultimi decenni nel nostro Paese è diventato un’epidemia che ha contagiato non solo la classe dirigente ma l’intera società. Un male ‘anestetizzato’ da una sorta di indulgenza collettiva, se non vera e propria ammirazione, nei confronti di chi con la corruzione acquista soldi, potere e prestigio. Di questo si è discusso il 21 novembre a Perugia in due luoghi e contesti diversi, a conferma che sono in tanti a non rassegnarsi a questo declino dell’etica e delle coscienze e a interrogarsi su come arrestare e invertire tale processo.
I due incontri si sono tenuti in sala dei Notari, per il Festival Immaginario, con tanta gente ad ascoltare il celebre giornalista del Corriere della Sera Gian Antonio Stella intervistato dal politologo Alessandro Campi; l’altro, più ristretto, ma con un dibattito molto vivo e partecipato, promosso dal Meic di Perugia nella biblioteca dell’Ostello della gioventù di via Bontempi. Incontro coordinato dalla presidente del Meic, Maria Rita Valli, e introdotto dal giurista Pier Giorgio Lignani e dal direttore de La Voce, mons. Elio Bromuri, che hanno parlato di come la legge dello Stato e la dottrina della Chiesa affrontino il tema della legalità e della corruzione.
Lignani, riprendendo quanto da lui scritto su La Voce del 22 novembre, ha ricordato che la parola “corruzione” deriva dal latino corruptio che si può tradurre come “disfacimento, rovina”. Un termine che definisce il processo del corpo morto che va in putrefazione, ma che in senso figurato indica il disfacimento morale. Ed è questo – ha detto – che intendeva il Papa nell’omelia dell’11 novembre quando ha contrapposto il peccatore, che può essere perdonato, al corrotto, che il perdono non lo chiede perché il suo radicamento nel male è diventato irreversibile.
Per la legge, in sintesi, la corruzione è il reato del pubblico ufficiale che vende le sue funzioni. Ma la corruzione – ha sottolineato Lignani – è un fenomeno estramemente diffuso e grave, favorito da un sistema che non funziona e perciò oliato da favoritismi, ‘conoscenze’ e relazioni. Con comportamenti penalmente non perseguibili, come quello del ministro Cancellieri che ha giustificato il suo interessamento personale per il caso di un “detenuto illustre” dicendo: “Ma io lo faccio per tutti”. “No – ha spiegato Lignani. – Non dovrebbe farlo per nessuno. Se la macchina dello Stato funzionasse bene, la soluzione dovrebbe essere automatica. È l’inefficienza di tante persone il terreno su cui germoglia la pianta del favoritismo, della corruzione, di vantaggi indebiti che non vengono nascosti ma ostentati quasi gloriandosene. Immoralità, sete di denaro, indifferenza per ciò che è pubblico e disprezzo delle regole – ha detto ancora Lignani – creano un intreccio di interessi che rendono irreversibile la piaga della corruzione”.
Nel suo intervento mons. Bromuri ha citato la Lettera di san Paolo ai Romani nella quale l’apostolo parla di “peccato non come atto ma come atteggiamento”. ‘Atteggiamento’ che è proprio di chi corrompe e si fa corrompere, di chi chiede e fa favori con una sorta di corruzione personale e collettiva di carattere morale. “Servono – ha detto – politiche e leggi che aiutino la gente a essere onesta. Perché l’etica è fondamentale per il benessere delle persone e della collettività. La corruzione è il declino verso la morte; bisogna combatterla non per una questione moralistica ma per vivere meglio tutti. Stiamo comprendendo – ha proseguito mons. Bromuri – che non sarà la crescita del Pil a salvare il mondo ma politiche, leggi e regole che tengano conto del bene comune”.
Considerazioni e concetti analoghi su etica e legalità erano stati espressi qualche ora prima nella affollata sala dei Notari. Anche il prof. Alessandro Campi aveva sottolineato come il problema principale dell’Italia sia “il mancato rispetto di regole, convenzioni, norme di comportamento non scritte e non penalmente sanzionabili, violando le quali non si assicura una civile convivenza. Norme che sono il vero tessuto connettivo della società”.
Spietata, ma ricca di fatti, aneddoti e citazioni l’analisi del giornalista e saggista Gian Antonio Stella sulla politica e società italiana. “Abbiamo avuto e abbiamo – ha detto – politici che occupano incarichi di grande responsabilità, che non sarebbero in grado di gestire assemblee di condominio. Politici che si sono autoscreditati da soli. Politici che con i loro privilegi non sono credibili quando parlano di riforme. La Regina d’ Inghilterra – ha riferito – ha tagliato il budget delle spese della famiglia reale del 61 per cento, e può presentarsi alla gente per chiedere sacrifici in un momento difficile. Come può invece essere credibile un Parlamento italiano che si vanta del fatto che l’aumento del 3 per cento delle spese per il suo funzionamento è stato tagliato e ridotto allo 0,5 per cento?”.
Rispondendo alla domanda su come ricostruire una classe politica capace e credibile, Stella ha sostenuto che “bisogna ripartire dalle regole”, cominciando da una nuova legge elettorale che cancelli il porcellum, “con il quale i partiti selezionano i loro candidati su tutto tranne che sulla capacità”. E soprattutto – ha detto tra gli applausi del pubblico – bisogna cambiare le regole per “dare spazio ai giovani”.
Non solo nella politica ma in tutti gli strati della società, dagli ordini professionali, all’università e al giornalismo. Ci sono però due ‘giovani’ – ha un po’ ironizzato Stella – che sono emersi nella politica, Letta e Alfano, entrambi nominati da due vecchi, Napolitano e Berlusconi. C’è anche un terzo giovane, Renzi, “ma – ha detto – sono anni che prende bastonate dai vecchi del suo partito”.