Viviamo un tempo sospeso, condizionato dal virus. E in “mondo provvisorio” – come avrebbe detto Edmondo Berselli – dove a prevalere è l’intento di sopravvivere. Pensando, però, che bisogna continuare a vivere.
Il politologo Ilvo Diamanti definisce quella delle ultime settimane una “società senza tempo”, deprivata di quei concetti di ‘prima’ e ‘dopo’ indispensabili per darci una prospettiva, perché non sappiamo quando sarà veramente finita.
Ma se pensare al ‘prima’ ci può essere di sostegno per aggrapparci a certezze consolidate e legami consolatori, il termine ‘dopo’ ci consente di sostenere il peso di un presente di cui fatichiamo a comprendere la possibile evoluzione.
In questo tempo sospeso, ciò che ci può dare conforto è la possibilità di guardarci dentro. E rimettere al giusto posto le nostre priorità di vita. Ma per ripartire nella maniera giusta, per rigenerarsi, occorre capire fino in fondo il momento attuale. Restando umani, usando testa e cuore. E consapevoli che nessun tempo è veramente sprecato, essendo comunque parte della nostra vita.
“Ne usciremo a seconda dello stile di vita che adotteremo” ha suggerito l’arcivescovo Mario Delpini, capo della Chiesa di quella Milano che è diventata la prima trincea italiana della lotta al contagio. Il presule meneghino, sul ‘dopo’, non sparge ottimismo a buon mercato: “Il mio timore è che si possa ricominciare come prima. Il rischio è che si pensi di correre ancora di più perché siamo rimasti indietro. E questo non sarebbe un cambiamento reale”.
Già, perché, se nel dopo-pandemia non ci saranno cambiamenti reali, nelle nostre singole vite e a livello collettivo, planetario, tanti sacrifici e rinunce, tante ansie e spaesamenti saranno stati inutili.
Se, per esempio, non rafforzeremo i nostri legami sociali in base a un solido senso di responsabilità reciproca, ma ci limiteremo a dare sfogo a rabbia e aggressività nei confronti del prossimo, vorrà dire che non avremo imparato nulla dalle attuali difficoltà. Per fortuna, in queste giornate così pesanti e drammatiche, tante iniziative a sfondo solidale sono un segnale tangibile che il senso di umanità ancora vince su una visione del prossimo come ostacolo e inciampo.
Il “dopo virus” anno zero?
Per l’economia il dopo virus sarà un ‘anno zero’. Come per la politica. L’Europa delle istituzioni, comunitarie e nazionali, ha prima guardato alla Cina come ‘untore’ da cui prendere le distanze. Poi l’ha fatto con l’Italia. Ora anche i più riottosi, come Francia e Germania, stanno ‘copiando’ le misure italiane anti-contagio. Resta il fatto che la Germania ha chiuso le frontiere in maniera unilaterale. E che la Francia ha comunque mandato a votare i cittadini, in una domenica che doveva essere la prima di coprifuoco.
Un caso ancora più particolare, e deprimente, è quello degli Stati Uniti, il cui Presidente avrebbe promesso un miliardo di dollari a un’azienda chimica tedesca per avere il vaccino. A un condizione: che fosse solo per gli Usa. America First (“Prima l’America”) è stato lo slogan con cui Trump ha vinto le elezioni, e vorrebbe continuare a usarlo per essere rieletto. A qualsiasi costo, a quanto pare.
Quello che sembra, al di qua e al di là dell’Oceano, è che combattere una pandemia ognuno per conto suo non sia la maniera giusta per sperare di vincere.
Il senso di colpa della politica?
Si evidenzia un’emergenza rispetto alla quale l’approccio ordinario non può dare risposte. Altrimenti non sarebbero mancate le mascherine nei nostri ospedali. Certo, un’Italia interamente ‘zona rossa’ non è cosa di tutti i giorni. Ma forse questo passaggio dovrà servire, ‘dopo’, a calibrare le scelte politiche in materia di sanità sulla base di eventi straordinari, e non sull’ordinarietà delle patologie da curare.
“Non si potrà mai più tagliare in sanità, ma solo investire” ha promesso il ministro Francesco Boccia. Quasi a evidenziare, per l’intera classe politica, una sorta di senso di colpa per un passato in cui la sanità è stata troppo spesso coinvolta in manovre e giochi politici che nulla avevano a che fare con la cura delle persone.
Quella ‘cura’ che invece un gruppo di maestre umbre sembra continuare ad avere per i propri alunni; ai quali ha proposto, tra le cose da fare a casa in queste settimane di permanenza lontano dai banchi di scuola, di piantare un seme. La piantina che nascerà, i ragazzi la porteranno a scuola, quando riaprirà, per piantarla in giardino insieme ai compagni.
Insieme. Dopo.
Daris Giancarlini