“All’inizio del virus ci hanno detto di lavarci le mani, stare in casa e tenere le distanze: due mesi dopo siamo ancora lì”: un ‘vecchio saggio’ della sociologia italiana, il fondatore del Censis Giuseppe De Rita, non nasconde il suo disagio nel constatare non soltanto che tutta la scienza sulla quale può contare il genere umano non è ancora servita a mettere a fuoco due o tre certezze sulla pandemia in atto, ma che anche sul versante della politica non siamo messi meglio.
Un esempio, evidente e tragicamente lampante, di quanto l’accoppiata scienza-politica non stia producendo i frutti che i cittadini di questo pianeta si attenderebbero è la faciloneria con cui nientemeno che il Presidente della prima potenza mondiale, gli Stati Uniti, ha proposto di curare il Covid-19 con iniezioni di disinfettante. Salvo poi fare una tragicomica marcia indietro per dire che la sua era una battuta sarcastica. La classica toppa peggio del buco, tenendo conto che i suoi connazionali muoiono al ritmo di oltre 2.500 al giorno.
Scienziati e scienza indipendenti?
Un sociologo e storico della scienza di fama mondiale, Steven Shapin, pone una domanda fondamentale: “Perché dovremmo aspettarci che la scienza sia immune dalle dispute, quando non è vista come indipendente e non vive in una torre d’avorio?”. Insomma, secondo lo studioso newyorchese, non ci si devono aspettare certezze dagli scienziati, men che meno magie, soprattutto perché “analizzare la capacità infettiva di un virus non è come dire che due più due fa quattro”. Meno aspettative, dunque, e molta più consapevolezza che la conoscenza è tale in quanto provvisoria.
Allora sarebbe fondamentale, dal punto di vista della comunicazione, che per primi gli scienziati della materia (in questo caso virologi, infettivologi, biologi ed altri impegnati negli studi sul contagio) si presentassero intanto con minore frequenza nei talk show televisivi, e poi dessero meno l’impressione a chi li guarda e ascolta di voler prima di tutto mettere in discussione le capacità ed il curriculum del collega intervistato su un altro canale.
Secondo lo storico Frank Snowden, “la salute pubblica moderna dipende in realtà dalla libera informazione”. Un punto nodale, che il neurologo Giuseppe Lauria si premura di approfondire, quando sostiene che “i ricercatori e i medici dovrebbero per primi essere molto attenti a non comunicare le ipotesi come quasi certezze”. Commisurare le parole alle conoscenze, “altrimenti cresce il disordine”, ammonisce Lauria.
Ma le scelte spettano ai politici
“Gli scienziati non cedano al sovranismo, alla pressione della politica o del mercato, mettendosi loro stessi sul piedistallo dell’unica verità”, è la riflessione di mons. Vincenzo Paglia. Anche perché – è lo stesso ex vescovo di Terni a parlare – l’ultima parola spetta alla politica. E ai politici.
Qui il tasto si fa dolente. Ne abbiamo viste e sentite di ogni, da parte della classe politica, da quando è in atto la pandemia in Italia.
Governatori e sindaci che prima chiedono di aprire, poi chiudere e poi riaprire le loro Regioni e città. Ministri che si fanno scudo del parere di pletoriche quanto inconcludenti Commissioni per non decidere. Segretari di partito più attenti ai sondaggi e al gradimento dei propri post sui social piuttosto che all’interesse generale. E tutti a dare la colpa a tutti gli altri dei propri errori, inadempienze e tentennamenti.
I cittadini fanno la loro parte
Mentre i cittadini hanno dimostrato di aver preso sul serio il problema contagio, rispettando in grandissima maggioranza regole da tempo di guerra. “Come cittadini stiamo facendo la nostra parte – è ancora il pensiero di mons. Paglia -, i politici facciano la loro per disegnare società veramente solidali e con opportunità di sviluppo economico, sociale e culturale per tutti”.
Massimo Giannini, nuovo direttore della Stampa, nel suo editoriale di insediamento ha definito il coronavirus come “il pettine della Storia, che fa venir fuori tutti i nodi irrisolti del Paese”. Uno di questi nodi, forse il più consistente, è sapere se le attuali classi dirigenti saranno all’altezza della sfida dei tempi cupi che ci attendono, rispetto ai quali sembra che la politica stia vivendo alla giornata. La parola che aleggia sulle teste di scienziati e politici è la stessa in base alla quale milioni di persone hanno accettato di cedere quote della propria personale libertà in cambio di sicurezza: la parola è responsabilità .
Meno protagonismo per chi lotta contro il virus dentro a un laboratorio, meno demagogia per chi decide sui destini delle persone. Se non ora, quando?
Daris Giancarlini