“Oggi la comunità cristiana ha bisogno di riscoprire la bellezza del vivere la fede, proprio a partire da quell’annuncio essenziale che è al centro anche del nostro convegno interregionale: il kerygma, l’annuncio della Pasqua di Cristo”. È la relazione introduttiva del vescovo di Gubbio e di Città di Castello, mons. Luciano Paolucci Bedini, ad aprire il convegno catechistico delle Chiese di Umbria e Marche che si tiene alla Domus Pacis di Assisi, dal 10 al 12 maggio, sul tema “Celebrate il Signore perché è buono? Una Comunità che celebra e testimonia il kerygma ”. Ed è un interrogativo anche quello che dà il titolo all’intervento del vescovo Luciano, una domanda che è quasi una “sfida”: le nostre comunità celebrano ancora la fede?
Mons. Paolucci Bedini, i numeri del Popolo di Dio sembrano tutti in calo: meno fedeli nelle liturgie, meno giovani nei seminari e nei noviziati, sempre più difficile trovare anche catechisti motivati e formati. Da dove ricominciare?
“Non si tratta tanto di aumentare numeri o reclutare persone. Sappiamo che l’annuncio del Vangelo, fin dall’inizio, trovava le persone sensibili, toccate dalla parola, dalla notizia della resurrezione di Gesù. Era la conversione, che spingeva gli uomini e le donne di allora ad affidare la propria vita al Signore. Non si tratta di recuperare qualcosa del passato ma di rinnovare un annuncio che tocca le persone, sapendo che oggi l’essere minoranza del popolo di Dio è una condizione che va compresa e accettata. Noi veniamo da una tradizione cattolica, soprattutto europea e italiana che ci ha abituati a un Cristianesimo di maggioranza ma questo passaggio, come il Papa ci ha detto tante volte, ormai si è consumato e non ha senso recuperare esperienze del passato”.
Cosa dovrebbe insegnarci questa situazione?
“Non è una disgrazia o un fallimento, ma è una condizione reale per cui alcuni accolgono la parola del Vangelo, altri no. E i cristiani saranno nel mondo sempre come il lievito nella massa e il seme nella terra così come un segno, un’indicazione disponibile e aperta a tutti. Veniamo da un Cristianesimo che, a un certo punto, ha uniformato il diventare cristiani con il crescere sociale. I sacramenti sono stati messi in parallelo con le tappe della crescita dei ragazzi. Oggi proprio le famiglie ci dicono che questo processo sociale non è più né automatico né condiviso. Siamo chiamati a recuperare una riflessione antica: cristiani non si nasce ma si diventa per libera scelta, per volontà personale, per l’incontro con Cristo”.
C’è bisogno di “aggiustare” un po’ il kerygma, l’annuncio, per arrivare di nuovo a tutti? O bisogna solo ritrovare lo spirito originario dei primi cristiani?
“Non credo che il kerygma – come annuncio essenziale della Pasqua di Cristo – abbia bisogno di ’aggiustamenti’, perché va al cuore dell’esperienza e del dramma dell’esistenza umana. È il confronto con la propria fragilità, col proprio peccato, con il male e la morte, ma anche annuncio di amore e misericordia che permette di vivere questa vita e di aprirla all’eternità. Più che essere rinnovato, l’annuncio va portato dentro la cultura, gli ambienti e la vita di oggi”.
Vita quotidiana e celebrazione liturgica: perché calano le persone alla messa?
“Questo dramma dell’allontanamento della vita quotidiana dalla fede, e quindi anche dalla celebrazione liturgica della fede, è qualcosa che – diceva Paolo VI – inizia negli anni Sessanta. Il Concilio Vaticano II cerca di interpretare la situazione e di rilanciare. Anche il primo Piano pastorale della Cei, nel 1973, Evangelizzazione e sacramenti si accorgeva che la secolarizzazione, allora incipiente, in realtà aveva già segnato questa spaccatura. Noi oggi abbiamo bisogno non solo di richiamare le persone alla frequenza dei sacramenti o delle celebrazioni. C’è da riscoprire come la celebrazione del mistero pasquale si colloca al centro e dentro una vita di fede condivisa nella fraternità ecclesiale. Noi, purtroppo, abbiamo ridotto molto la vita cristiana alla sola partecipazione alla messa domenicale, con il risultato che oggi si fa fatica a comprendere il senso e il significato di questa celebrazione. Chi ancora vi partecipa per tradizione non porta quasi nessun beneficio nella vita quotidiana e molti hanno abbandonato proprio per questo. La celebrazione, per essere compresa e per portare frutto, ha bisogno di una vita concreta che cammina sull’onda della Parola di Dio, della vita della Chiesa, dell’annuncio del Vangelo, della carità, di tutte quelle dimensioni della vita cristiana che la liturgia raccoglie e nutre’.
In questo quadro, come rivedere l’iniziazione cristiana per bambini e adulti?
“Bisognerebbe riprendere l’iniziazione cristiana degli adulti, perché noi ci siamo abituati al fatto che sia solo per i bambini e, in qualche modo, si pensa che essa termini con la cresima. Quindi, c’è da ripensare un percorso di ispirazione catecumenale degli adulti, perché oggi la maggior parte di loro ha bisogno di riscoprire la propria fede. Il discorso dell’iniziazione cristiana dei bambini si basa su una premessa che ormai sta venendo meno: l’esistenza di famiglie che vivono nella fede e che desiderano accompagnare i propri figli nel cammino. Di fatto ai bambini viene fatta una proposta che non è né condivisa né accompagnata dalle famiglie, che spesso non sono in grado, in condizione o nella volontà di farlo. Cosa che anche dal punto di vista pedagogico è assolutamente impropria, perché laddove i bambini non vengano accompagnati e sostenuti nel loro crescere – difficilmente comprenderanno l’importanza e saranno aiutati a maturare in un aspetto così importante per la loro esistenza com’è quello spirituale”.