venerdì, 31 Gennaio 2025
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Contro la pedofilia serve giustizia, non show

Stiamo con sofferenza assistendo ad uno stillicidio di notizie e provocazioni, con cui si tirano fuori dal cassetto di certe redazioni giornalistiche casi e fatti, recenti e lontani, spesso in maniera confusa e distorta, altre volte con dettagli e documenti circostanziati, sui quali si dovrebbero svolgere approfondimenti e analisi che nessun lettore e ascoltatore può avere strumenti per fare. Ciò non facilita un dialogo sereno e costruttivo tra la Chiesa cattolica, che subisce la sindrome da assedio mediatico, e il mondo dei media che si sente in dovere di schierarsi da una parte o dall’altra. Si innesca in questo modo una polemica a carattere ideologico, una specie di lotta per la civiltà (Kulturkampf). Non si può negare che di questo si possa e si debba trattare. Ma per chiarire la questione dei preti pedofili nel suo specifico è opportuno circoscriverla per coglierla nella sua verità. La Chiesa non vuole essere accusata in maniera generalizzata, con toni aggressivi e ingiuriosi, attraverso informazioni scagliate nel mucchio, strillate nei telegiornali e ossessivamente richiamate nei titoli a scorrere dei teleschermi. Non vuole neppure essere difesa in maniera approssimativa e aprioristica e apologetica, senza prendere in serio esame le accuse che le sono rivolte. Diciamo pure che la verità, la giustizia e l’onestà non sopportano né l’ingiuria, né la piaggeria. Si rende necessario trovare la strada giusta e riuscire a renderla evidente attraverso una conoscenza adeguata del fenomeno e una comunicazione chiara ed efficace, che abbia come punti di riferimento gli aspetti essenziali della questione. Sempre in camminoIl primo e più importante elemento da evidenziare è che la Chiesa sa di essere in un continuo pellegrinaggio, in cui al “già” della salvezza e della santità si unisce il “non ancora” del Regno che viene. In questo cammino del popolo di Dio si svolge un’assidua attività pastorale, con la parola e i sacramenti, rivolta alla conversione, al rinnovamento e alla santificazione di tutti i suoi membri. Essa tuttavia è richiamata anche sempre a confessare le opere di Dio che sono carità e grazia, donate dall’alto e non prive di frutti. Può infatti vantare, “non per i nostri meriti, ma per l’abbondanza della Sua misericordia”, e proporre al mondo stupendi modelli di vita e abbondanti frutti di giustizia, carità e pace. A questo proposito, nonostante infausti tentativi di scrivere la storia criminale del cristianesimo, il numero dei casi di pedofilia di cui si “chiacchiera” tanto, da dieci anni a questa parte, diluiti nel tempo non rappresentano, secondo calcoli americani, che lo 0,03 per cento, e questo è il secondo punto da evidenziare con serenità, senza minimizzare la vergogna e il danno subìto dalle vittime. Verso di esse non si fa mai abbastanza per risarcirle e riparare. Altro elemento da chiarire è la questione del segreto. Nessuno può pensare che la Chiesa possa accettare la superficiale logica mediatica, e tanto meno l’infamante vezzo di mettere in piazza, e usare come spettacolo, persone, sentimenti, passioni, delitti, processi che devono rimanere nelle sedi proprie di competenza. Il segreto esiste nelle società civili e non riguarda solo il segreto legato al sacramento della confessione, ma il segreto professionale in tutte le professioni e anche quello delle confidenze interpersonali, da amico ad amico, da figlio al padre, da marito a moglie e così via. Questa esigenza di ogni società civile non esclude la necessità di denunciare i delitti e gli abusi, soprattutto se avvengono a danno di persone deboli e inermi come sono bambini e adolescenti. Ma anche in questi casi il criterio è evitare il danno, prevenire conseguenze più gravi, non seguendo la logica della vendetta, ma della giustizia. Come conciliare queste apparentemente contrastanti esigenze è compito di persone sagge e responsabili. Possono esserci state, nella prassi contingente delle autorità cattoliche, lacune e omissioni. Chi potrebbe negarlo? Si deve sapere e correre ai ripari. Il rigore dei PonteficiLe prese di posizione della Santa Sede e di Benedetto XVI sono indirizzate a questo e nello stesso tempo, fin dal motu proprio di Giovanni Paolo II sui “delitti più gravi” (2001), hanno assunto un rigore ancora maggiore per evitare e reprimere i peccati di disprezzo nei confronti dei sacramenti, soprattutto della penitenza e dell’eucaristia e di abuso sessuale dei minori. Non deve fare velo e creare imbarazzo a coloro che hanno responsabilità nella Chiesa l’esercizio della misericordia, la quale non deve essere meno esplicita verso la vittima dei soprusi, rispetto a colui che ne è l’attore. Altro punto che deve interessare i cattolici è la confutazione dell’assunto che i casi di pedofilia di alcuni preti siano una cartina di tornasole delle “gravi distorsioni del sistema Chiesa”, del suo sistema formativo e legislativo, come più di uno ha scritto. Ma, per asserire l’inconsistenza di tale assunto, deve essere rilevato lo sforzo di aggiornamento costante in atto nelle strutture ecclesiastiche, a partire dai seminari e dalle scuole di teologia, secondo le esigenze psicologiche e i criteri pedagogici ispirati alle moderne scienze della formazione. Ultima, ma non di secondaria importanza per la Chiesa dei nostri tempi, è l’esigenza di trovare forme di comunicazione, da attuare con chi si trova fuori dei nostri circuiti mediatici e vitali (Il prossimo convegno sui “Testimoni digitali” della Cei è su questa linea). Su questo punto dobbiamo tutti fare un esame di coscienza e trovare modelli comunicativi e linguaggi più efficaci per dialogare con l’attuale società secolarizzata e disincantata.

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