Soltanto una scorza dura-dura che non lascia scampo ai sentimenti e al pianto può mostrarsi così indifferente di fronte al dramma dei profughi siriani. Le notizie e le immagini che in questi giorni ci raggiungono sulla sorte dei sopravvissuti alla guerra in quell’angolo del pianeta superano perfino quella “cultura dell’indifferenza” più volte denunciata da Papa Francesco. Infatti non si tratta più nemmeno di voltarsi dall’altra parte, ma addirittura di accanirsi, perfino con violenza, contro persone che hanno l’unica ‘colpa’ di scappare dalla violenza della guerra e dalla morte certa sotto le bombe.
Le notizie di padri e madri che si vedono morire i bambini di freddo tra le braccia, quelli sui quali si arriva addirittura a sparare o che si cerca di affondare mentre in mare cercano un approdo o un salvataggio, quelli che devono difendersi dai lacrimogeni e dai manganelli dei militari greci, quelli usati come arma di ricatto dal Governo turco…
Sembra essere in atto una vera e propria involuzione antropologica, una dinamica disumanizzante che genera violenza e indifferenza. Se non fosse così, le nostre coscienze si rivolterebbero, alzerebbero la voce, farebbero qualcosa… Ma non è umanamente tollerabile che chi scappa dalla violenza, superando pericoli e disagi d’ogni genere e rischiando la vita per mettersi al sicuro, possa essere accolto in un Lager e respinto, nel modo che sappiamo, se solo tenta di superare i confini.
Lo chiediamo con forza all’Unione europea, all’Onu, a tutti gii organismi sovranazionali e ai Governi dei Paesi direttamente coinvolti: ascoltate la vostra coscienza! Questo, occhi di bambini imploranti, corpi immobilizzati da armi chimiche e madri disperate, lo chiedono da anni nei campi di battaglia siriani.
Davvero era così impossibile sedersi a un tavolo dei negoziati per pretendere la fine di quello scempio?
Ci si chiede se una forza di polizia internazionale non avrebbe dovuto già da tempo schierarsi nelle aree interessate al conflitto, e oggi nella regione di Idlib, a difesa degli inermi. Se Russia, Stati Uniti, Turchia non debbano rendere conto a un Consiglio di sicurezza che è chiamato a essere fedele al suo stesso nome, prima ancora che al suo mandato. Quelle Nazioni Unite che nascevano proprio per “preservare le future generazioni dal flagello della guerra”.
In Africa abbiamo imparato un triste proverbio: “Quando due pachidermi si fanno guerra, non si sa mai chi vincerà, ma una cosa è certa: l’erba ci rimette sempre”. Basterebbe poco per smentirlo, e schierarsi decisamente a difesa dell’erba.