Una visita a Fonte Avellana è sempre un’idea brillante. Anche solo per ripercorrere lento pede, a testa bassa, i passi di san Romualdo, san Pier Damiani, san Giovanni da Lodi, lasciando che i pensieri si srotolino l’uno dall’altro come grani di un rosario silenzioso e ad alto potere nutritivo. Per noi eugubini, poi! Primo lato del piccolo chiostro interno: “Su questo pavimento ha camminato sant’Ubaldo!”. Quando ci ho camminato anch’io, la prima volta dopo averlo saputo, ero talmente emozionato che inciampai su una delle pietre irregolari che lo compongono, e finii per le terra, sgrugnandomi a dovere. Ma a Fonte Avellana, se le pietre parlano, parla anche la piccola comunità monastica che ci vive. Piccola e densa. Dom Gianni Giacomelli, l’abate, è il referente abituale del discorso di fede che alcuni di noi eugubini cerchiamo di portare avanti. L’ultima volta siamo stati con lui il lunedì di Pasqua.
Gli avevo chiesto una chiacchierata con noi de Il Gibbo: “Gianni, dài, fai uno sforzo”. Tossicchio. “Se tu dovessi sintetizzare al massimo quello che il Concilio, prima di ogni altra cosa, chiede a tutti noi di rinnovare nella nostra flebile appartenenza cattolica, cosa diresti?”. Lui alla mia domanda ha risposto… con un’altra domanda: “E tu?”. Ho risposto: “Credo che sia il primato della coscienza”. Lui: “Forse hai ragione tu, ma per me il primo posto tocca al sacerdozio dei fedeli”. E ha parlato su quel tema con una forza, una dolcezza, una ricchezza di riferimenti (soprattutto al modo di agire di Papa Francesco) che ci hanno come storditi. Se il capitolo IV della Lumen gentium lo leggi da solo, ti può dare l’impressione di una bella predicuccia di nuovo conio, guarnita di dotte citazioni bibliche; tutt’altro è l’esito se ne ascolti la presentazione da uno per il quale è prassi di ogni giorno il contemplata aliis tradere, il “trasmettere quello che lui ha fatto oggetto di contemplazione personale”. Nella Lumen gentium il sacerdozio ordinato – dice dom Gianni – è solo un’attribuzione ministeriale, mentre il sacerdozio dei fedeli è un’attribuzione identitaria. Il sacerdozio ordinato si qualifica come il servizio di coloro che, nel cuore di un intero popolo, dicono a tutti cose significhi essere membro di quel popolo, e forniscono a tutti gli strumenti per esserlo. Il sacerdozio dei fedeli è invece un’attribuzione identitaria, cioè rivela l’identità dell’uomo nel progetto che Gesù ha portato sulla terra: non più “un essere razionale composto di anima e di corpo”, ma un operaio specializzato e abilitato alla costruzione di quel regno eterno e universale, regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace, che Cristo, dopo aver assoggettato al suo dominio d’amore tutte le creature, alla fine dei tempi offrirà al Padre. Sintesi di tutta la Storia.