Nel momento in cui scriviamo [mercoledì pomeriggio] è salito a 205 morti il bilancio dei raid israeliani su Gaza, al nono giorno di offensiva militare.
“Israele ha ripreso le operazioni nella Striscia di Gaza dopo sei ore di attacchi unilaterali di Hamas che ha sparato 47 razzi”: così un portavoce dell’Esercito israeliano aveva annunciato la ripresa dell’operazione Protection Edge (Confine protettivo). Si è presto richiuso lo spiraglio per una cessazione delle ostilità tra Israele e Hamas…
Si aggrava nel frattempo l’emergenza sanitaria nella Striscia. Servirebbero 60 milioni di dollari per coprire il fabbisogno medico di Gaza, fa sapere l’Organizzazione mondiale della sanità.
Emergenza sanitaria che non esiste certo da oggi. Già a febbraio la Missione pontificia per la Palestina aveva reso noto un Rapporto dettagliato sugli interventi d’emergenza a favore della popolazione della Striscia di Gaza dopo l’operazione israeliana “Colonna di fumo” del novembre 2012. Le medicine e le attrezzature fornite dall’organismo vaticano avevano contribuito all’assistenza sanitaria di più di 17.000 persone, in particolare fornendo alimentazione e servizi alle donne in gravidanza e alla cura delle infezioni intestinali provocate dall’acqua inquinata. Erano inoltre stati attivati programmi di sostegno psico-sociale per quasi 6.000 bambini traumatizzati dai bombardamenti e dall’esperienza di dover lasciare le proprie case.
Di fronte ai nuovi attacchi, la commissione Giustizia e pace degli “Ordinari” (vescovi) cattolici di Terra Santa chiama in causa le responsabilità delle leadership politiche e religiose. Da un lato, il linguaggio violento di chi in Israele chiede vendetta “è alimentato dagli atteggiamenti e dalle espressioni di una leadership che continua a promuovere un discorso discriminatorio, promuovendo i diritti esclusivi di un gruppo e l’occupazione, con tutte le sue conseguenze disastrose. Vengono costruiti nuovi insediamenti, le terre sono confiscate, le famiglie sono separate, le persone care vengono arrestate e perfino uccise”. Sull’altro fronte, il violento ‘linguaggio della strada’ palestinese “è alimentato dagli atteggiamenti e dalle espressioni di coloro che hanno perduto ogni speranza di raggiungere una giusta soluzione per il conflitto attraverso i negoziati”.
A sua volta, Caritas Gerusalemme riafferma “il diritto di Israele a vivere in pace, e degli israeliani a vivere in sicurezza”, uscendo da una condizione segnata dalla paura perenne, ma ribadisce che tale diritto non potrà mai essere garantito “dalla guerra e dall’aggressione contro persone innocenti”. L’unica via per raggiungere la pace e la sicurezza è “la giustizia e la risoluzione del conflitto”, che potrà farsi strada solo riconoscendo al popolo palestinese il diritto a vivere in libertà nella propria terra e consentendo che Gaza si apra al mondo.
Intanto a vari organismi politici italiani, tra cui la Regione Umbria, è giunta una lettera aperta da parte dei “Cittadini contro il genocidio dei palestinesi” in cui si chiede di “fermare l’offensiva contro Gaza, fermare gli attacchi aerei, rispettare i termini dell’accordo di ‘cessate il fuoco’ del 2012, liberare i prigionieri già scarcerati per lo scambio del 2011 [ma] di nuovo catturati, non interferire nel governo unitario dei palestinesi”.
Il rinnovato appello del Papa per la pace
Un appello al Papa, perché intervenga per far cessare il conflitto tra Israele e Hamas, è stato lanciato mercoledì al tg di TV2000 da padre Raed Abusahlia, direttore della Caritas di Gerusalemme. “La situazione è molto difficile dal punto di vista umanitario; mancano cibo, acqua, elettricità. Ci sono migliaia di feriti negli ospedali e mancano le medicine”. Da qui l’appello che il direttore della Caritas rivolge al Santo Padre: “Abbiamo bisogno di lui per due cose: la prima è fare pressione, tramite la comunità internazionale, ad ambedue le parti – israeliani e palestinesi – perché pongano fine alle aggressioni. Poi, potrà fare un secondo miracolo: un anno fa ha lanciato una veglia di preghiera contro la guerra in Siria. Ora potrà promuovere una veglia di preghiera anche per la fine di questa guerra”.
Papa Francesco domenica scorsa, all’Angelus aveva rinnovato il suo “accorato appello” per la pace. “Alla luce dei tragici eventi degli ultimi giorni” ha chiesto a tutti di continuare a “pregare con insistenza per la pace in Terra Santa”. Ricordando l’incontro dell’8 giugno con il Patriarca Bartolomeo, il presidente Peres e il presidente Abbas nel quale era stato “invocato il dono della pace e ascoltato la chiamata a spezzare la spirale dell’odio e della violenza” papa Francesco si è rivolto a chi potrebbe pensare che sia stato inutile. Non lo è stato, ha detto, “perché la preghiera ci aiuta a non lasciarci vincere dal male né rassegnarci a che la violenza e l’odio prendano il sopravvento sul dialogo e la riconciliazione”. Ed ha quindi esortato “le parti interessate e tutti quanti hanno responsabilità politiche a livello locale e internazionale a non risparmiare la preghiera e alcuno sforzo per far cessare ogni ostilità e conseguire la pace desiderata per il bene di tutti. E invito tutti ad unirvi nella preghiera”.