Condizionamenti e tentazioni della ricerca scientifica

Questo lo dice la scienza’. Quante volte ci hanno ripetuto questa frase, quasi per chiamare la scienza a sottoscrivere la veridicità definitiva di certe affermazioni. Quante volte è stata adoperata persino a supporto di questa o di quella scelta etica. ‘Lo dice la scienza’, si afferma solennemente, quasi che dalla scienza possano derivare giudizi definitivi sia nel campo del sapere che in quello dell’etica. Hanno ragione coloro che si schierano contro questa pessima abitudine, sottolineando che si tratta di una vera e propria strumentalizzazione, non priva di venature di prepotenza. La scienza infatti, a motivo dell’oggetto delle sue indagini (il mondo sensibile) e del suo metodo (sperimentale), non ha né la possibilità di giungere a conclusioni definitivamente vere (il suo è un accostarsi progressivo alla verità del mondo sensibile) né possono trovar posto, tra le sue conclusioni, valutazioni di carattere etico. È assurdo pensare che le istanze etiche possano costituire le conclusioni di un qualche ragionamento scientifico. È vero semmai il contrario: è l’etica a dover guidare la scienza sia nelle sue operazioni di indagine e di scoperta che nelle sue applicazioni tecnologiche. È quanto scrive Carlo Cirotto in un articolo intitolato ‘La scienza e i suoi condizionamenti’ apparso sull’ultimo numero della rivista Etica per le professioni edita dalla Fondazione Lanza di Padova. Dopo aver dimostrato che la presunta neutralità etica della ricerca scientifica è priva di significato, fondata com’è sul mito settecentesco dello scienziato solitario, passa a considerare gli obblighi morali che derivano agli uomini di scienza dal loro reale modo di lavorare in gruppo. Primo fra tutti vi è l’obbligo della comunicazione veritiera dei risultati ottenuti, senza cedimenti a pregiudizi né di natura scientifica né di natura ideologica. Fortunatamente è proprio il modo di lavorare in gruppo che facilita l’identificazione e l’isolamento dei falsari. Lo sbugiardamento del coreano Dott. Wang, che affermava di aver clonato un uomo, è emblematico! Altri obblighi morali derivano alla scienza dal suo coinvolgimento tecnologico. Oggi si preferisce, giustamente, parlare di ‘tecnoscienza’ per indicare proprio la commistione profonda fra scienza e tecnologia. E nella tecnoscienza è assai difficile, se non impossibile, distinguere l’aspetto scientifico dall’aspetto più propriamente tecnologico-applicativo, inserito a sua volta a pieno titolo nel gioco del mercato. Le sue iniziative richiedono infatti di essere propagandate e sostenute con operazioni finanziarie; i suoi risultati devono essere opportunamente protetti da brevetti. Tutte operazioni, queste, che comportano forti assunzioni di responsabilità morale. Basti pensare allo spessore etico dell’operazione (che pur sembrerebbe tanto legittima) di brevettazione dei risultati ottenuti. Brevettare vuol dire, in primo luogo, non comunicare i propri risultati alla comunità scientifica, minando così le radici stesse del fare scienza. Oggi, poi, brevettare significa anche poter disporre in modo esclusivo di esseri viventi, organi, cellule o parti di cellule. A fare le spese di questo stato di cose sono soprattutto i popoli in via di sviluppo, ai quali viene così reso impossibile continuare ad utilizzare le proprie conoscenze tradizionali e le risorse naturali presenti nelle loro stesse terre. Se non si tratta di forti responsabilità morali, allora ci si deve chiedere di che cos’altro si tratti!