A conclusione dell’Anno della fede, che sarà celebrata in diocesi sabato 23 novembre nella cattedrale di Terni, approfondiamo con mons. Ernesto Vecchi gli aspetti di questo cammino di fede che ha portato a un rinnovato incontro con Cristo.
Mons. Vecchi, lei in questi mesi ha ricordato la necessità di “ripartire da Cristo” come ha anche più volte esortato Papa Francesco. Che cosa significa?
“In primo luogo, avere familiarità con Lui. Per avere confidenza con Cristo bisogna credere che Lui è una realtà, non un’ipotesi, un mito, un simbolo religioso. Cristo è una realtà viva, umanamente viva, che respira, palpita, gioisce, contempla, ama; non è un personaggio storico mummificato nei libri. Cristo è una realtà operante: non è tagliata fuori dalla nostra esistenza e dal nostro mondo, ma è il principio della vita e della sussistenza di tutti. Poi, come dice Papa Francesco, significa imitare il Cristo: uscire da sé per andare incontro agli altri. E infine, non avere paura di andare con Lui nelle periferie per annunciare il Vangelo di sempre, che non cambia, perché ‘Gesù Cristo è lo stesso ieri e oggi e per sempre’.
Non dobbiamo avere paura di uscire dai nostri schemi, perché lo Spirito di Gesù ci rende creativi; ma per essere tali bisogna saper cambiare, in modo da adeguarsi alle circostanze”.
Un nuovo slancio anche nell’evangelizzazione, dunque.
“Le comunità, quando si chiudono, si ammalano; mentre se vanno in missione per le strade, verso le periferie, rimangono vive. Ciascuno di noi, mediante il battesimo, confermato con la cresima, partecipa al mistero pasquale di Cristo e ne è testimone nel mondo. Nella croce Gesù ci presenta il suo altare, sul quale anche noi poniamo i nostri sacrifici personali, e con la sua risurrezione ci rende partecipi della gioia piena, riservata a quanti lo seguono, senza se e senza ma”.
Ripartire da Cristo è il fulcro della Nota pastorale che sta preparando e che sarà consegnata alla comunità diocesana nel periodo di Avvento. Quali sono le principali indicazioni per la diocesi di Terni – Narni – Amelia?
“La sacramentalità della Chiesa che ‘è in Cristo come sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano’ (Lumen gentium, 1). Se Cristo è il sacramento primordiale, la Chiesa in Cristo è sacramento universale. Nella Chiesa, il segno della sua sacramentalità è composto da un organismo formato da una molteplicità di persone, unite dal vincolo della comunione trinitaria e interpersonale, secondo carismi diversi, nell’unica missione dentro la storia. Pertanto, quando la comunione vacilla, il segno sacramentale della Chiesa viene oscurato.
La sacramentalità della Chiesa è il filo conduttore di tutta la programmazione pastorale. Questa sacramentalità si manifesta visibilmente non solo nelle sue espressioni cultuali, ma anche attraverso la vasta gamma di azioni pastorali connesse con le funzioni fondamentali della Chiesa (Parola, liturgia, carità pastorale), radicate nel dinamismo della Trinità e alimentate dall’eucaristia. Ne consegue che il compito dell’azione pastorale consiste nel cercare la via migliore e percorribile, per edificare la Chiesa come un ‘segno’ che esprime la varietà e la molteplicità dei doni, attorno al vescovo: condizione indispensabile per la comunione ecclesiale.
La comunione, poi, per essere piena deve esprimersi in senso sincronico, cioè nei confronti della molteplicità dei soggetti viventi e operanti nell’oggi della Chiesa, ma anche in senso diacronico, cioè lungo l’asse della storia: dobbiamo sentirci parte consapevole di una tradizione ecclesiale che ci ha generati e ci ha consegnato in eredità un tesoro di santità, di unità, di cultura e di solidarietà”.
Quali le aspettative verso cui orientare l’azione pastorale diocesana?
“Di fronte alle sfide della post-modernità, l’aspettativa principale è quella della testimonianza di comunione eucaristica della comunità cristiana, attorno al vescovo e al suo presbiterio, che deve essere sempre più consolidata. Essa ci aiuta a recuperare una persuasione che ha sempre accompagnato il cammino della Chiesa, nelle alterne vicende della sua storia: l’aver ricevuto nell’eucaristia il codice genetico della sua identità e l’inesauribile sorgente delle sue potenzialità, cioè un dono pieno ed esclusivo che la pone di fronte al mondo come sacramento universale di salvezza (Lumen gentium, 48)”.