Con la semplicità dei santi

Le parole del vescovo Sigismondi per la festa di san Feliciano, patrono di Foligno

Il 24 gennaio a Foligno la festa del santo vescovo e martire Feliciano è celebrata solennemente da sempre. Nel 1626 Michele Faloci Pulignani racconta che a Foligno si festeggia il Patrono “come fusse giorno di Pasqua”. Dopo altri due secoli e mezzo Leone XIII pregava così l’evangelizzatore dell’Umbria: “Tu, Feliciano, stella del firmamento umbro, risplendi amicalmente sulla nostra terra. Difendi Foligno, che con devota pietà ti invoca come suo vero padre. Corrobora i nostri cuori con la fede incontaminata e forte dei nostri padri: che nessuna arroganza e nessuna insidia dei nostri tempi folli possa mai distruggerla!”. Oggi, nel XXI secolo, la devozione a san Feliciano è ancora vivissima e un gran numero di folignati non rinunciano ad esprimerla affollando le varie celebrazioni liturgiche, tra cui la tradizionale processione per le vie del centro. Tra gli illustri devoti del Patrono di Foligno, presenti in questi giorni per rendergli omaggio i vescovi Giuseppe Betori (arcivescovo di Firenze), Antonio Buoncristiani (arcivescovo di Siena), Renato Boccardo (arcivescovo di Spoleto), Giuseppe Chiaretti (arcivescovo emerito di Perugia), Giovanni Benedetti (vescovo emerito di Foligno), oltre a mons. Gualtiero Sigismondi, successore attuale di san Feliciano alla guida della Chiesa da lui fondata. Nell’omelia della messa pontificale il vescovo Gualtiero ha voluto sottolineare il valore della pietà popolare che continua a circondare san Feliciano, espressione di “una delle testimonianze di fede più disarmanti e coinvolgenti” per la sua semplicità, che non è altro che il riflesso della semplicità del santo, di cui questa devozione traccia il ritratto. Ed è un ritratto in cui il Vescovo ritrova le suggestioni che la Scrittura associa al tema della semplicità. Quella evangelica innanzitutto, quella cioè di chi va come pecora in mezzo ai lupi, non perché imprudente ma perché libero di odiare la propria vita in questo mondo, conservandola così per la vita eterna. La stessa semplicità della prima comunità cristiana, apparentemente irraggiungibile per la nostra moderna complicazione, ma a portata di mano per tutti i santi, che non chiedevano altro che poter tenere lo sguardo fisso su Gesù Cristo e seguirne i passi, così… semplicemente. Prendendo in prestito le parole di Tolstoj e poi di Mingus, il vescovo Gualtiero ha svelato che proprio qui sta la grandezza di queste figure e la loro nobiltà: hanno reso semplice il complicato. Potremmo dire che in fondo hanno fatto semplicemente il loro dovere senza girarci intorno, hanno camminato sulla loro strada senza deviare, semplicemente, perché fiduciosi in chi li guidava. E questa strada porta al martirio: una “grazia che Dio concede a chi è semplice”,“il segno più disarmato e disarmante del dono totale di sé”, “la nobile semplicità di una vita donata, consumata nell’amore, semplificata dall’amore”. Non basta qui pensare che il martirio sia una testimonianza preziosa solo al fine della credibilità del Vangelo, è anche la soluzione definitiva a qualsiasi conflitto sociale, è realmente un seme di pace proprio perché è “una consegna di sé che vince il male, perfino quello ingiustificabile, perché disarma la vendetta col perdono, ricostruendo l’unità anche con colui che uccide”. Il semplice è capace di amare perché “non è sopraffatto dall’affanno del possedere”, infatti accetta di non possedere, prima i beni, poi le persone, infine neanche se stesso, raggiungendo la massima libertà e liberando anche chi gli sta vicino, amici e nemici. Alla sera, nei secondi vespri della festa, mons. Chiaretti ha fatto notare di aver visto anche tanti bambini in processione e nelle strade, segno che questa fede si continua a trasmettere dai padri ai figli, come nel racconto della Pasqua ebraica, in cui si ripercorre in una notte tutta la storia della salvezza con l’aggiunta della presenza, nella sua conclusione, dei suoi ascoltatori più giovani come i prossimi protagonisti di questo cammino. Questa è quello che si deve fare, la nuova evangelizzazione, cioè il Vangelo incarnato in nuovi testimoni. Se l’albero è buono deve dare per forza buoni frutti, e allora da san Feliciano non potrà che continuare a venire un gran raccolto in ogni stagione.

AUTORE: Francesco Bovi