Con il Gospel di Umbria jazz winter si è chiuso il 2000

Grande successo ad Orvieto

E’ passata come una meteora di luci e di suoni su di una folla straordinaria di gente piovosa d’ogni dove, “imbre iuvante” e no, anche questa edizione (8’della serie) di Umbria Jazz Winter 2000. Dopo aver approdato ai luoghi tradizionali con il suo sfarzoso carrozzone di figure e di immagini, dopo aver riempito di echi sonori le piazze e le vie, rompendo il secolare incrostato silenzio dettato dalla solitudine di una rupe e dei severi palazzi, la sua stella ha percorso l’intero arco dei cinque giorni previsti ed è finita sulla dominante monumentale mole del duomo, scaricandovi l’intero suo carico di suggestione e spiritualità per il concerto finale, sacro alla celebrazione della giornata mondiale della pace. Hanno trionfato in cartellone il Tango, con l’ampio agitato ventaglio del suo “passion and swing”, al centro del quale il prestigioso Richard Galliano, con la sua magica fisarmonica tornava a mescolare avvincenti melodie argentine nei liquidi accenti della Senna; il Jazz contemporaneo con i suoi rappresentanti di musica nera e… bianca, nomi di spicco e di inveterata tradizione, come gli Evans Band fra memorie di ieri ed emozioni di oggi; e poi altrettanta musica, ma questa volta jazz d’italiani, maestri come sempre capaci di assimilare le migliori creazioni e far delle espressioni più ortodosse le composizioni più ardue e felici. Pienoni scontati da per tutto e consensi tra i più clamorosi. Anche se apparentemente è sembrato esserci qualcosa di meno, in confronto alle passate edizioni, pur tuttavia immutato, se non accresciuto, è riuscito il suo successo, intatta e incorrotta la sua vera sostanza. L’abbiamo appreso non senza una legittima compiacenza dalla bocca stessa dei responsabili organizzatori, che non hanno risparmiato ammirazione e soddisfazione per questa città, ormai legata strettamente, in ciò alla consorella maggiore Perugia. Ma dove automaticamente Umbria Jazz ha dimostrato il suo valore e la sua potenza, nonché l’inconfondibile identità, è stato al duomo, quando in esso, gremito fino all’uomo – si è registrato un numero di oltre 3.000 persone -, con la proprietà e la dignità di sempre, e con sorprendente devozione e rispetto, ha preso le mosse la concelebrazione Eucaristica, presieduta dal vescovo mons. Decio Lucio Grandoni, e dai sacerdoti della città. Il Vescovo, che magistralmente ha illustrato il significato vero e religioso di quanto si svolgeva, con parole semplici e chiare, al Vangelo poi, indicava nel Cristo fatto uomo l’unica via di salvezza per l’individuo della società di oggi, nei suoi valori e nelle sue attività. Si univa a rendere più significativo l’avvenimento, il messaggio recato da un rappresentante della Comunità di S. Egidio, che, superando ogni difficoltà di carattere storico ed economico, richiamava alla considerazione unanime la necessità di dover procedere nel mondo alla cancellazione dei debiti dei paesi poveri, uno dei gravi fattori della loro imperante miseria. Il Gospel poi cantato, proclamato e gridato dal prestigiosissimo coro degli “The New Orleans Spiritualettes”, nato nel 1956 e resosi noto poi in seguito in tutta la Lousiana e in quella parte d’America fino alla città di Chicago, ha fatto il resto come l’avrebbe potuto fare con tutta la fama che lo precedeva. Un possesso perfetto dei propri mezzi musicali, messo a disposizione più di un complesso di anime che di un complesso di corpi. “The Spiritualettes – dicono essi – cantano in nome dell’amore di Dio e non si preoccupano delle dimensioni del pubblico. Il messaggio è lo stesso, sia che si tratti delle grandi basiliche, sia di piccole chiese di campagna”. E’ con questo amore di Dio che essi al termine di una grande liturgia, quale quella che li vedeva impegnati in tale magnifico Duomo, hanno cercato di galvanizzare la gente con la forza delle voci sì, ma ancor più con quella dirompente dei loro petti, e ci sono riusciti, perché ne è scaturito un momento di grande esaltazione collettiva, spirituale, mistica e di gioia, che ha investito anche i più assenti e refrattari, fino ai bambini, i quali, per giunta, uniti a loro, hanno finito per cantare come loro, sicché è sembrato spontaneo l’usuale antico ricorso al salmo: Ex ore infantium perfecisti laudem tuam. Uno spettacolo incredibile, ma soprattutto una grande festa dei cuori per una degna fine d’anno giubilare, per una solenne esaltazione della pace.

AUTORE: M.P.