E’ la domenica del Buon Pastore. Nell’intero ciclo A, B e C la liturgia ci offre ampia presentazione di Gesù che si autodefinisce il Buon Pastore. Il brano di questo ciclo C è breve e va letto tenendo presente l’intero cap. 10 di Giovanni, ricollegandolo anche all’episodio della guarigione del cieco nato. Ci troviamo alla festa della dedicazione del Tempio. In aperta diatriba con i giudei, Gesù, dopo la guarigione del cieco (cacciato dai rappresentanti del popolo, accolto dalla “comunità messianica”), si autodefinisce prima Sorgente di acqua viva, poi Luce del mondo, e ora Porta dell’ovile e Pastore che conduce le pecore oltre il recinto dell’antica alleanza per costituire il nuovo gregge, il nuovo popolo di Dio. Anche la prima lettura, dagli Atti degli apostoli, ci presenta la novità tutta ecclesiologica dell’andare oltre i confini di Israele per una salvezza donata a tutti. Nel brano evangelico non abbiamo quindi un’immagine bucolica o romantica come siamo abituati a vedere, ma una realtà ecclesiale. Nonostante l’idea di “gregge” richiami oggi alla mente una realtà di massificazione e di anonimato, il brano ci offre tre verbi dinamici: ascoltare, conoscere, seguire, verbi che raccontano l’intimità di Dio con ogni persona, verbi che abbracciano con tenerezza la realtà umana.
Ascoltare. Gesù è il Verbo di Dio, è l’umanizzazione di Dio, è Dio che parla anche con un corpo, con gesti, con segni e con la sua stessa vita. Il nostro è un ascolto che ci plasma nella comunione con Dio: l’umanizzazione di Dio porta noi alla divinizzazione. Come il cieco nato, che, oltre al miracolo della vista, ha sperimentato il miracolo dell’accoglienza personale, così ognuno di noi: siamo chiamati per nome per ascoltare la sua voce e la sua parola di senso, capace di dirci chi siamo e a cosa siamo destinati. Infatti per noi, per me, è stata preparata la vita eterna, la comunione piena con il Padre, una felicità immensa, dove ci sarà né fame, né sete e mai ci saranno lacrime (Apoc 7,16); per me, anche solo per me, Lui è disposto a lasciare le altre 99 pecorelle per venirmi a cercare, se mi perdo tra i rovi e tra i sentieri impervi della vita, in quanto le sue pecore non andranno mai perdute e nessuna può essere rapita dalle sue mani. Questo rapporto intimo con il Buon Pastore, con il Risorto, è forte e non può essere messo in discussione o in crisi.
Ci conosce. Sa i nostri limiti, i nostri bisogni. Ci conosce come lo sposo conosce la sua sposa, niente di noi è nascosto. Il “conoscere” biblico coinvolge tutta la persona umana, indica legame profondo e fedele. Noi conosciamo il Buon Pastore perché lui per primo si è donato a noi, fino ad annientarsi, per far rivivere la nostra identità fatta a immagine e somiglianza di Dio, un’immagine sfigurata dai rovi del peccato. Gesù è il vero Sposo che conosce la sua sposa, la Chiesa, il gregge, noi.
E noi lo seguiamo. Ne abbiamo sperimentato l’amore, siamo stati colpiti da questo rapporto personale e profondo, una comunione sperimentata. Lui la guida, il faro, il compagno di viaggio nei nostri passaggi della vita, nella transumanza di ogni giorno. Lo seguiamo perché nella vita inseguiamo felicità e appagatezza, e sappiamo bene che la piena appagatezza è in Lui e in Dio Padre. La riflessione evangelica del Buon Pastore ci spinge solitamente a guardare ai nostri Pastori: Papa, vescovi, parroci. Non è improprio invece pensare anche a noi come pastori. Pastori e guida, alla luce della Parola, lo siamo di noi stessi, reciprocamente lo siamo nella coppia, accompagnandoci mano nella mano attraverso le realtà quotidiane vissute insieme, e lo siamo nei confronti dei figli e dell’intera famiglia, conducendola nel vivere la realtà comunionale nella società di oggi, che ha tutta l’idea di essere un “altro ovile sotto altri pastori”. Gesù era nel Tempio quando si è presentato a noi, nuovo gregge di Dio, come Pastore che si dona, e il tempio del sacramento delle nozze è la nostra unione, la nostra casa, la Chiesa domestica, piena dell’“odore” del nostro essere pecorelle, ora smarrite, ora ritrovate, ora sulle Sue spalle, sempre nel Suo cuore. Noi, Chiesa domestica, nel nostro tempio di tutti giorni a quale luce, a quale guida affidiamo le scelte, le fatiche, i litigi, i disagi, le ferite e anche le gioie? Che il Buon Pastore guidi la nostra Chiesa domestica e guidi noi a essere pastori buoni. Basterebbe un ascolto costante della sua voce per entrare nella sua conoscenza profonda e nella sequela di comunione.