Lo scorso weekend (18-19 maggio), non a caso in concomitanza con la festa di Pentecoste e la discesa dello Spirito datore dei carismi, si è tenuta la terza Giornata dei movimenti, delle nuove comunità, delle associazioni e delle aggregazioni laicali. Dopo il pellegrinaggio alla tomba di Pietro nella mattinata di sabato, i 120.000 partecipanti, espressione di circa 150 realtà, hanno potuto ascoltare la voce del Papa sia la sera del sabato che la mattina di domenica.
Lo slogan dell’evento era: “Io credo! Aumenta in noi la fede”. I due pronomi – ha spiegato mons. Rino Fisichella, presidente del Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione – attestano il significato sotteso. Ognuno nella Chiesa è chiamato a pronunciare in prima persona la sua adesione a Cristo e alla Chiesa”. Una scelta libera, personale, ma al tempo stesso la fede è un fatto comunitario, “un noi che si carica del valore della comunità quale è in primo luogo la Chiesa”.
Papa Francesco ha risposto alle domande dei giovani: “Come ha potuto raggiungere nella sua vita la certezza sulla fede?… Qual è la cosa più importante cui tutti noi – movimenti, associazioni e comunità – dobbiamo guardare per attuare il compito cui siamo chiamati?…”
“Ho avuto la grazia – ha detto il Vescovo di Roma – di crescere in una famiglia in cui la fede si viveva in modo semplice e concreto; ma è stata soprattutto mia nonna, la mamma di mio padre, che ha segnato il mio cammino di fede. Era una donna che ci spiegava, ci parlava di Gesù, ci insegnava il Catechismo…” e di lì, man mano, un crescendo di esperienze che lo hanno portato a una sempre maggiore fiducia in Dio, fino alla decisione di diventare sacerdote.
Passando quindi alla sfida della evangelizzazione, “dirò soltanto tre parole. La prima: Gesù. Chi è la cosa più importante? Gesù. Se noi andiamo avanti con l’organizzazione, con altre cose, con belle cose, ma senza Gesù, non andiamo avanti, la cosa non va… La seconda parola è: la preghiera. Guardare il volto di Dio, ma soprattutto sentirsi guardati. Il Signore ci guarda: ci guarda prima… E terza: la testimonianza… La comunicazione della fede si può fare soltanto con la testimonianza, e questo è l’amore. Non con le nostre idee, ma con il Vangelo vissuto nella propria esistenza e che lo Spirito santo fa vivere dentro di noi. È come una sinergia fra noi e lo Spirito santo, e questo conduce alla testimonianza. La Chiesa la portano avanti i santi, che sono proprio coloro che danno questa testimonianza. Come ha detto Giovanni Paolo II e anche Benedetto XVI, il mondo di oggi ha tanto bisogno di testimoni. Non tanto di maestri, ma di testimoni”.
Il Signore ci “primerea” sempre
Le indicazioni di Papa Francesco ai movimenti e alle associazioni cattoliche
Converte, Papa Francesco; attira le folle e pungola, spinge tutta la Chiesa – ma più in generale, tutti – verso Cristo. C’è una parola, una parolina, l’unica pronunciata nella sua lingua madre, per chiarire la prospettiva del Papa, che assicura: “Il Signore sempre ci primerea”. Questa parola ci spiega che ci sono due cammini che s’incontrano, il nostro che cerca Cristo e Cristo, che ci cercava da prima, è già lì ad aspettarci. “È il primo che ci viene incontro”, in qualche modo ci anticipa, anche se presuppone il nostro cammino. C’è poi una seconda immagine, quella della porta, che il Papa ha riproposto con convinzione. “Il Signore sta alla porta”, constata. “Allora dobbiamo aprirle le porte, quelle del nostro cuore come quelle delle nostre Chiese”, ripete Papa Francesco. “Il Signore sempre ci primerea”, ha detto parlando con passione a braccio a una folla immensa alla veglia di Pentecoste. È il terzo grande raduno dei movimenti e delle associazioni, quindici anni dopo la convocazione di Giovanni Paolo II del 1998, riproposta da Benedetto XVI nel 2006. Centocinquanta sigle, segno di una vitalità sempre nuova, che deve sempre essere meglio articolata. Per questo ha indicato, nell’omelia di Pentecoste, tre parole-chiave: novità, armonia, missione. Indicazioni aperte e stringenti, che sono esortazione, esame di coscienza, programma. A proposito di associazioni e movimenti, sembra lontano il tempo di conflitti, che restano una tentazione. Oggi con tutta evidenza è il tempo dell’evangelizzazione, per cui la varietà diventa una risorsa, vissuta nella comunione: “Se ci lasciamo guidare dallo Spirito, la ricchezza, la varietà, la diversità non diventano mai conflitto, perché Egli ci spinge a vivere la varietà nella comunione della Chiesa”. Così si può essere capaci di novità e nello stesso tempo efficaci nella testimonianza, anche se il Papa è ben consapevole che molto c’è da fare per evitare tanti riflessi di chiusura. Questo vale soprattutto in questo tempo di crisi. Anche a Pentecoste il Papa ha avuto parole chiare e forti sulle ingiustizie e la povertà. Ed ha insistito sulla grande questione che sta sotto la crisi. “È una crisi dell’uomo, per questo è una crisi profonda”, ha ripetuto nella Veglia. Per questo bisogna denunciare quello che i suoi predecessori avrebbero definito l’“errore antropologico”. Papa Francesco lo descrive citando un antico midrash, per cui costruendo la torre di Babele contavano di più i mattoni che le vite degli operai. E oggi non è diverso, anche se non si parla più di mattoni, ma di finanza. Di qui ancora l’invito pressante a uscire, ad aprire le porte: “Lo Spirito santo ci fa vedere l’orizzonte e ci spinge fino alle periferie esistenziali per annunciare la vita di Gesù Cristo. Chiediamoci se abbiamo la tendenza di chiuderci in noi stessi, nel nostro gruppo, o se lasciamo che lo Spirito santo ci apra alla missione”. Semplice, chiaro, coinvolgente. È Papa Francesco, che parla con franchezza e mette tutti in cammino. Dando l’esempio. Anche per questo è molto difficile obiettargli alcunché. E restare fermi.