“Il nome di Samuel e di Elisabetta si aggiungono ad una lunga lista di persona che hanno perso la vita a causa del lavoro nella nostra Regione e ad una lista ancora più lunga che nel nostro Paese si aggiorna tragicamente ogni giorno.
Sentimenti di sgomento, sofferenza e rabbia pervadono tutta la nostra comunità di fronte a queste giovani vite spezzate nell’atto del lavoro”.
A sottolinearlo è Francesca Di Maolo, coordinatrice della Commissione regionale per i problemi sociali e il lavoro della Ceu nell’esprimere, a nome dell’organismo pastorale delle Chiese dell’Umbria, immenso dolore per la tragedia sul lavoro che si è verificata a Gubbio e la nostra vicinanza ai familiari, agli amici delle vittime e a tutta la comunità.
Sicurezza sul lavoro fattore rilevante di civiltà
“Se questo è il momento del dolore -prosegue la coordinatrice Di Maolo- né oggi, né domani può essere il tempo della rassegnazione.
Non si può morire di lavoro. Non si può più. Il lavoro non può trasformarsi in morte, perché il lavoro è vita, perché il lavoro è espressione della nostra identità, è partecipazione all’organizzazione economica e sociale del Paese, è espressione e fondamento della nostra democrazia. Per questo la sicurezza di chi lavora è una priorità sociale fondamentale ed è uno dei fattori più rilevanti della nostra civiltà”.
La crisi occupazionale non attenui la sicurezza
“Siamo tutti consapevoli che ci aspettano giorni difficili -evidenzia Di Maolo- perché stiamo attraversando una crisi senza precedenti. Di fronte alla crescita della disoccupazione, che colpisce soprattutto i giovani e le donne, c’è il serio rischio che l’attenzione sulla sicurezza del lavoro si attenui. Tutte le Istituzioni e la comunità nel suo complesso devono impegnarsi sulla via della sicurezza sul lavoro con determinazione e responsabilità”.
No al lavoro che possa ferire, umiliare o uccidere
“Samuel ed Elisabetta, insieme a tutti gli altri nomi che li hanno preceduti -conclude la coordinatrice della Commissione Ceu- non diventino per noi solo una doverosa memoria, ma un impegno a custodire la persona che lavora e a fondare realmente la nostra Repubblica di un lavoro degno che esprima tutta la vita delle persone che lo rendono e che mai possa ferire, umiliare o uccidere”