La lettura evangelica di questa domenica narra l’episodio cui fa riferimento il secondo mistero gaudioso del rosario: la visita di Maria alla cugina Elisabetta. Un’interpretazione popolare ama soffermarsi sulla generosa premura di Maria per la parente anziana, rimasta miracolosamente incinta, nonostante l’età. Lo scritto di Luca guarda l’avvenimento con ben altra profondità. La gravidanza della parente le era stata annunciata dall’angelo come “segno” decisivo della potenza di Dio, in grado di far generare anche lei senza concorso maschile (Lc 1,36). Ora, con il suo carico di ragazza madre, si affretta a costatare la realtà del segno. A guardar bene, ancora più che l’incontro di due madri in attesa, è sottolineato quello dei due nascituri.
I Vangeli narrano che i due si incontreranno ancora da adulti, in ben altre circostanze (Mt 3,14). Ora misteriosamente si riconoscono, mentre le rispettive madri esultano piene di Spirito santo. Ma la Scrittura che oggi permette di entrare più in profondità nel Mistero ci è proposta nella seconda lettura: pochi versetti della Lettera agli Ebrei, che significativamente iniziano così: “Entrando nel mondo, Cristo dice…” (10,5). È difficile non pensare a quel feto, ancora microscopico, che sta entrando nel mondo attraverso la carne di una donna ebrea. L’autore della Lettera gli mette in bocca le parole del Salmo 40: “Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato… Allora ho detto: Ecco, io vengo… per fare la tua volontà”. Si compiono qui alcune parole che nell’antica Alleanza annunciavano la fine di un mondo e l’inaugurazione di uno nuovo.
Come abbiamo recentemente ricordato su queste colonne, il mondo religioso antico basava il rapporto con la divinità su una sorta di scambio commerciale: l’uomo si privava di qualcosa di caro e prezioso a favore della divinità, ed essa gli garantiva il suo favore. Mentalità condivisa, in buona misura, anche dall’antico popolo dell’Alleanza. Per la verità, i profeti e molti Salmi su questo tema furono pesantemente critici. Ma tutto fu capovolto solo con l’ingresso di Cristo nella storia degli uomini. Scrive ancora la Lettera agli Ebrei: “Così Egli abolisce il primo sacrificio, per costituire quello nuovo”. Il nuovo sacrificio è l’obbedienza di Gesù alla volontà Padre, “mediante la quale siamo santificati, per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre”.
Nel parlare corrente la parola “sacrificio” è ricca di ambiguità. Proviamo a intenderci. Solitamente la usiamo per indicare sofferenze imposte dalle circostanze o dagli altri o talvolta auto-imposte. Non è necessario fare esempi. Il suo significato originale però è un altro: legato al latino sacrum facere, vale e a dire fare cosa santa, opera che ha una relazione con la divinità. Dunque non necessaria- mente legata alla sofferenza. Immaginiamo: bruciare incenso, versare acqua lustrale, fare processioni, ecc. Cose tutte che non comportano sofferenze o privazioni.
Se partiamo da questi presupposti, possiamo capire il pensiero della Lettera agli Ebrei, che parla del nuovo sacrificio inaugurato da Gesù, come obbedienza alla volontà del Padre. A questo modo di intendere fa riferimento la dottrina cattolica quando parla della messa come sacrificio. A questo pensa anche san Paolo, quando nella Lettera ai Romani scrive: “Vi esorto… ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo, gradito a Dio… Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare, rinnovando il vostro modo di pensare” (12,1-2). Cosa ben più impegnativa che “fare i fioretti”! La prima lettura, poco più di quattro versetti dal libro del profeta Michea, è un brano non proprio facile da capire; tuttavia il nocciolo è chiaro. Il regno, che era stato di Davide, è in decadenza, Gerusalemme sarà assediata, la popolazione si prepara all’esilio. In questo scenario il profeta guarda oltre l’orizzonte e vede un radicale cambiamento della situazione. Egli non sa quando questo avverrà, ma sa con certezza che un capo forte e stabile nascerà; non in una città grande e agguerrita, come si addice a un capo, ma in una delle più piccole e sguarnite: uscirà da Betlemme, che non è davvero tra le più importanti, sebbene vi sia nato Davide.
Dio è solito scegliere le cose umili, spesso disprezzate, per realizzare cambiamenti epocali. Così aveva agito proprio con Davide, il più piccolo e meno considerato tra i suoi fratelli (1 Sam 16,1-13). Lo aveva scelto per mezzo del profeta Samuele, mentre pascolava il gregge di suo padre, ad essere re al posto di Saul. Altrettanto aveva fatto, qualche secolo prima, con Gedeone (Gdc 6). Così farà ancora nel corso della storia. San Paolo ne darà una sintesi: “Ciò che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti” (1 Cor 1,28).