“Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore”. Maria e Giuseppe con grande umiltà compiono ciò che prescriveva la Legge. Si consegnano nelle mani di Dio, di quel Dio che a sua volta, consegnando nelle loro mani il Figlio suo, ha consegnato a loro Se stesso.
Primo insegnamento di questo Vangelo per la vita in famiglia: a chi vogliamo consegnare le nostre vite e quelle dei nostri figli? Alla scuola? Agli allenatori dei vari sport? Alle insegnati di musica e danza? Alla tv? Nessuna di queste cose è “sbagliata” ma non a esse va consegnata la vita dei nostri figli. Solo a Dio che è luce per la vita di ogni uomo. Ma “solo a Dio” cosa significa? Significa che nelle nostre parrocchie dobbiamo trovare spazi a cui possano essere consegnati i nostri figli affinché incontrino la Luce vera della loro vita. Se questi spazi non ci sono, non possiamo dire “pazienza”: dobbiamo rimboccarci le maniche e metterci al lavoro per crearli.
Questo brano del Vangelo è una scena corale: ci sono Giuseppe e Maria che vanno al Tempio portando due colombi da offrire in sacrificio, e soprattutto portando Gesù. C’è poi Simeone, un uomo anziano e giusto, e infine la profetessa Anna. È questo il brano scelto per la festa chiamata dalla tradizione “Candelora” (più esattamente la Presentazione di Gesù al tempio, ma anche la Purificazione di Maria) che in quest’anno 2014 prevale sulla domenica e ci offre alcune significative riflessioni. Nel giorno della circoncisione viene dato il nome al bambino, in questo caso viene dato il nome a Dio. È la prima volta. Nella Genesi (2,19-20) Dio consente all’uomo di scegliere il nome di tutto il bestiame e di tutti gli esseri viventi. Ma il Nome di Dio è impronunciabile dall’uomo dell’Antico Testamento.
C’è una distanza che oggi viene colmata con il nome di Gesù, che vuol dire “Dio salva”. Dio è la salvezza dell’uomo, e se ne accorge subito Simeone che, “mosso dallo Spirito”, quel giorno decide di recarsi al tempio, consapevole che quel giorno sarebbe accaduto nella sua vita qualcosa di importante. Simeone era un uomo giusto. “Giusto” per il popolo ebraico è colui che fa la volontà di Dio, e ancora meglio è colui che, oltre a fare, ama la volontà di Dio anche quando non la capisce. Giuseppe, lo sposo di Maria, è “il giusto”.
Simeone ha fatto e amato la volontà di Dio per tutta la vita, ma ora è giunto al termine dei suoi giorni, l’ombra della morte è ormai scesa su di lui e ancora non si è realizzata la promessa che Dio gli aveva fatto in gioventù, la promessa di vedere con i propri occhi il compimento delle antiche Scritture, il Messia atteso, la salvezza di Israele. Il Dio fedele non manca mai alle promesse fatte: a Simeone viene concesso di incontrare Gesù, e dal suo cuore sgorga questo magnifico canto che la Chiesa recita ogni sera a compieta e che ognuno di noi dovrebbe recitare ogni sera prima di addormentarsi: “Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace… perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza… luce per illuminare le genti…”. Questo canto è l’inno di vittoria sulla notte, sulle tenebra, sulla morte. Non è più soltanto il canto di Simeone il giusto e il pio. È il canto di ogni uomo peccatore, di ogni uomo perso e nelle tenebre. È il canto della pecorella smarrita. È il canto del figliol prodigo. È il canto dei salvati, che la Chiesa celebra a sera, a compimento della liturgia del giorno, consapevole di essere santa e peccatrice ma amata e salvata da Dio, attraverso Gesù Cristo.
Anche oggi Dio continua a consegnare i suoi figli alle nostre famiglie. È un Dio che si fida di noi e che per primo ha fiducia in noi, nell’amore tra un uomo e una donna che è capace di essere fecondo e di generare. Ma non basta generare un figlio nella carne. Occorre generarlo nella fede. È questo il compito più importante che Dio ci affida. Guardiamo alla Sacra Famiglia e prendiamola come nostra icona di riferimento, guardiamo a quel coraggio, a quella capacità di amare la volontà di Dio anche quando non la si capisce appieno.