Nelle letture di questa domenica ci viene proposta una delle due preghiere fatte direttamente da Gesù, presenti nel Vangelo di Matteo; la seconda è quella che verrà recitata nell’Orto degli ulivi. Gesù inizia lodando il Padre perché nella sua benevolenza ha nascosto queste cose ai “sapienti e ai dotti” per “rivelarle ai piccoli”. Un elogio chiaro e forte alla semplicità e all’umiltà del cuore, e una presentazione altrettanto esplicita delle dinamiche che animano Dio Padre e di ciò che a Lui piace.
Non poteva essere diversamente, oseremmo dire, in quanto il nostro è un Dio che si è fatto piccolo, si è fatto uomo, nato in una semplice famiglia, cresciuto in mezzo ad artigiani e “donne di casa”. Ancora oggi non sempre accettiamo facilmente né riusciamo a giustificare, davanti a tanti fatti, che il nostro Dio – il re “giusto e vittorioso” (Zc 9,9) della prima lettura, che estende il Suo dominio da “mare a mare” (Zc 9,10) – possa presentarsi vestendo i panni del figlio di un falegname che resta sottomesso alla sua famiglia e utilizza i suoi primi trent’anni per crescere in “sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2,52) senza sfruttare da subito i suoi “super-poteri”.
Una riflessione ci sorge spontanea come genitori, in questo momento in cui il mondo ci sembra aver accelerato rispetto alle attese nei confronti dei figli. Quante aspettative, quante pressioni, quanta “ansia da prestazione” anche da parte dei genitori cristiani rispetto ai figli! Come se la felicità, la realizzazione, passassero sempre dall’essere sapienti e dotti, belli e realizzati socialmente. Dobbiamo aiutarci a tornare all’essenziale della vita, discernere quella “parte migliore” che non ci “sarà tolta” (Lc 10,42) evitando la tristezza che scaturisce dalla ricerca malata di piaceri superficiali (Papa Francesco, EG 2)
L’affermazione “hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” (Mt 11,25) potrebbe sembrare una discriminazione verso una certa classe di intellettuali, ma così non è: siamo noi che a volte, indipendentemente dai titoli, mettiamo solo la nostra forza, le nostre conoscenze per cercare di capire i messaggi di Dio e i segni dei tempi. Quante volte ci approcciamo alla sacra Scrittura da studiosi, usando solo l’intelletto – che è necessario, ma, se utilizzato da solo, non permette al cuore di presentare le proprie impressioni, il proprio sentire, non permette di emozionarsi, di rendere lode a Dio per la Sua benevolenza, ché anzi spesso non viene nemmeno riconosciuta (vedi il n.153 della EG di Papa Francesco). I sapienti e i dotti a cui si riferisce Gesù in questo brano sono coloro che, attraverso una serie di precetti che rendono schiavi della legge, hanno giudicato Giovanni il Battista come “indemoniato” (Mt 11,18) o Gesù stesso come “mangione e beone, amico di pubblicani e peccatori” (11,19).
Un primo esame di coscienza andrebbe fatto su questo punto, a cui ci richiama spesso il Papa: quanto giudichiamo e quanto ci sentiamo una comunità di bravi, di buoni, di perfetti? Il Padre ha donato a Gesù tutto, con la libertà di utilizzarlo come voleva. Ha salvato altri e avrebbe anche potuto salvare se stesso (Mt 27,42), avrebbe potuto utilizzare la sua potenza ed essere infedele alla sua missione ma la grandezza del “Figlio dell’uomo” e la nostra salvezza passano dalla sua fedeltà al progetto, dal bere fino in fondo il calice che il Padre gli aveva dato (Gv 18,11). Non è un atteggiamento buonista: se ripassiamo la nostra vita, quante soddisfazioni, gratificazioni e insegnamenti abbiamo avuto ogni volta che siamo riusciti a fare esperienza di umiltà, a essere miti, magari davanti a chi si proponeva a noi con forza e prepotenza.
Gesù, come il Padre, “preferisce” gli umili e i piccoli, coloro che non hanno voce. Se lui si è fatto umile e mite, anche noi dobbiamo assumere questo atteggiamento, perché possiamo avere il ristoro dato dal seguire il Signore. Non ci verrà tolto il “giogo” ma ne verrà alleggerito il peso. Il giogo della Legge non opprime più il cristiano, ma rende dolce il perseguirla, perché è una legge fondata sull’amore.
Questa è una grande consolazione perché è come se la nostra vita fosse destinata – come spesso accade – a diventare fragile, stanca, povera, malata, ma anche allora potremo avere la certezza di essere vicini al Signore. Egli potrà comprenderci, e non ci farà mancare il Suo ristoro.