Veniamo da una domenica in cui l’evangelista Giovanni ci dice che Dio ha mandato il suo Figlio affinché “chi crede in lui abbia la vita eterna” (3,16), mentre in questa domenica del santissimo Corpo e Sangue di Cristo, Gesù ci dice che lui è “il pane vivo disceso dal cielo” venuto perché “chi si ciba della mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna” (6,54); e non solo, ma i due dimoreranno l’uno nell’altro (6,57).
Siamo passati da una fede “creduta” a una talmente vissuta che può essere perfino mangiata. Cristo non vuole rimanere una memoria, ma vuole continuare a essere presente divenendo energia vitale. Un’esperienza che, per chi come noi vive l’esperienza dell’essere “coniuge”, è già reale: un amore che prende corpo, che si dona, un concetto che prende una forma fisica e che ogni giorno si presenta per ricordarti che, per rinnovare l’esperienza dell’amore, da quel Corpo devi passare, di quel Corpo devi nutrirti, quel Corpo devi servire.
Il nostro Signore – a costo di scandalizzare, come è avvenuto per i giudei che si domandano: “Come può costui darci la sua carne da mangiare?” (Gv 6,52) – si presenta a noi attraverso una carne e ci chiede di essere “utilizzato”, mangiato. Il corpo e il sangue di Cristo non rimangono in bella mostra, vengono spezzati, versati e utilizzati per creare l’intima unione con il Signore. Partecipare così intimamente con Gesù, nutrirsi della sua carne e del suo sangue significa portarselo dentro in tutti i momenti della nostra vita così profondamente che non riesco più a capire dove finisco “io” e inizia Lui. Non è possibile allora relegarlo alla celebrazione domenicale, ridurlo a una comparsa settimanale: Egli diventa compagno di viaggio della nostra vita di ogni giorno. Per questo l’eucaristia ha un grandissimo peso non solo spirituale ma anche sociale.
L’eucaristia ha poi il grande merito di essere per tutti (… o per molti), non solo per i “buoni”. Non a caso la saggezza della Chiesa ci fa dire, appena prima di ricevere la Comunione: “Signore, non sono degno di partecipare alla tua mensa, ma di’ soltanto una parola e io sarò salvato”. L’accoglienza del Signore è per tutti coloro che con cuore sincero chiedono di partecipare del suo Corpo, del suo progetto, della sua vita. Questo deve essere lo stile delle nostre comunità, aperte e accoglienti verso ciascuno di coloro che chiedono di camminare con noi. Tutti devono essere invitati al banchetto (Mt 22,9). Gesù, attraverso questa intima unione, viene portato nelle nostre famiglie e nelle città attraverso l’impegno di ognuno di noi a essere coniuge, genitore, cittadino; arriva nei posti di lavoro, al supermercato, in vacanza… Questo aspetto è fondamentale per comprendere che l’eucaristia non è un fatto privato ma un fatto profondamente pubblico, ed è fondamentale rispetto al tema dell’evangelizzazione e dell’“uscire” a cui ci richiama frequentemente Papa Francesco.
Ognuno di noi “esce” quotidianamente verso ambienti non proprio cristiani e ha la possibilità di dimostrare con la vita – e “se necessario” usando “anche le parole” (san Francesco) – questa intima unione con Cristo che dovrebbe portarci a scelte cristianamente ispirate, una vita spirituale piena, un’esistenza secondo Cristo e secondo il Vangelo.
In questa domenica dovremmo verificare la vivacità dell’eucaristia nella nostra comunità, il suo essere “fonte e culmine” (LG 11) della nostra vita di cristiani, comprendendo fino in fondo che è quel pane a fare sì che “siamo un corpo solo” (1Cor 10,17) e non seguaci di un qualsiasi leader, per quanto bravo e dinamico possa essere. Questo “Pane disceso dal cielo” (Gv 6,41), che ci rende un solo Corpo, ci spinge a cambiare noi stessi e quindi la nostra società, facendo sì che dalla divisione – che produce esclusione e “scarto” – si passi alla condivisione, al mettersi al servizio con le caratteristiche proprie di ognuno, perché, pur nella diversità delle membra, possiamo sentirci popolo.