Con questa domenica si conclude il tempo pasquale, un lungo periodo che il Signore e la Chiesa ci hanno concesso per “abituarci” all’idea della Resurrezione e convertire i nostri cuori alla gioia vera. Oggi questo tempo trova il suo compimento ideale, permettendoci di incontrare lo Spirito santo, la Persona della Trinità che è forse la più sconosciuta. Gli Atti degli apostoli ce lo descrivono con tante immagini, utilizzando i simboli classici dell’azione di Dio: il vento, il terremoto e il fuoco. Eppure fatichiamo non poco a immaginarcelo e a sentirlo come una presenza fondamentale del nostro cammino di fede.
Lo colleghiamo quasi sempre e solo alla Pentecoste, e ce lo siamo sentiti spiegare un po’ più approfondita- mente in occasione della cresima, quando il nostro cuore e la nostra mente di adolescenti non erano del tutto pronti a comprenderlo. Ciononostante, lo Spirito è sempre lì dal giorno del nostro battesimo, pronto a farsi Avvocato difensore, Consolatore e, non ultimo, Ospite dolce della nostra anima.
Allora, come gli apostoli, anche noi abbiamo bisogno urgente di essere scossi dallo Spirito, plasmati da Lui, perché – come ci ricorda la seconda lettura – solo in forza dello Spirito possiamo dire: “Gesù è Signore”, Signore della nostra vita, del nostro tempo, delle nostre famiglie e delle nostre comunità.
Lo Spirito, presenza dolce e discreta, riesce infatti a scuoterci dalla nostra sonnolenza e a rinvigorire la nostra passione per il Cristo. Quando ci sentiamo lontani da Gesù, incapaci di vivere il suo progetto d’amore nella nostra vita, invochiamo lo Spirito, e Lui ravviverà la nostra fede.
Ogni cuore triste e ferito troverà in Lui consolazione. Ogni famiglia affaticata e provata troverà in Lui riposo. Ogni comunità che non trova più il senso del proprio agire, troverà in Lui la Luce che riorienta il cammino. Perché lo Spirito è datore dei doni, come ci dice la “sequenza” che pregheremo domenica. Doni che prima di tutto indicano a ogni vita la via dell’amore e della comunione. In questo senso, la Pentecoste è la festa della Chiesa, una Chiesa ricolma di carismi che devono essere vissuti nell’unità.
Non a caso, nella lettura dagli Atti degli apostoli, la discesa dello Spirito è narrata con l’aggiunta di un simbolo. Il racconto di Luca dice infatti che si posarono su ciascuno dei discepoli lingue di fuoco, e che da quel momento ognuno li sentiva parlare nella sua lingua. Lo Spirito santo ci viene raccontato come “l’anti-Babele” per eccellenza: quella manifestazione di Dio che conduce a comprendersi, a capirsi e a fare comunione. Nell’antico racconto della Genesi (11,1-9) osserviamo la testardaggine degli uomini che pensano di poter raggiungere Dio solo con le proprie forze e non per Suo dono. È la tentazione di bastare a se stessi che scuote l’uomo di ogni tempo, e che conduce solo alla confusione e alla divisione.
Per gli uomini che invocano lo Spirito c’è invece la promessa e la certezza di una riunificazione capace di sanare – se Glielo permettiamo – ogni rottura, nella famiglia, nella comunità, nella sua Chiesa.
Lo Spirito che allora trasformò uomini chiusi nelle proprie paure in testimoni fedeli, può fare lo stesso per noi oggi, se ci crediamo. Ci apre a noi stessi, a chi ci sta accanto, e anche alla missione. Così il Vangelo di Giovanni ci dice non solo che lo Spirito dona agli apostoli il senso della loro comunità e del loro agire, ma anche la possibilità di rimettere i peccati. Il perdono è dunque dono del Padre, attraverso il Figlio, per opera dello Spirito.
È questa la festa di Pentecoste. Festa di una chiamata rinvigorita e sostenuta. Festa di una missione ritrovata. Festa dell’amore tenero e misericordioso di Dio che “tutto scusa, tutto sopporta e tutto perdona”. Non abbiamo più paura, dunque; e con la gioia e la pace del Cristo nel cuore, invochiamo ancora una volta sulle nostre vite, sulle nostre famiglie e sulle nostre comunità: “Vieni, Santo Spirito”.