Il Vangelo ci offre uno stralcio del “discorso d’addio” del Signore ai suoi discepoli. Il brano si colloca nel corso dell’Ultima Cena, subito dopo il gesto d’amore e di servizio più grande che Gesù abbia lasciato ad esempio ai suoi e a tutti noi, la lavanda dei piedi. C’è stato l’annuncio del tradimento di Giuda e del rinnegamento di Pietro, e possiamo a ragione pensare che il cuore dei discepoli non sia semplicemente “turbato”. Il verbo tarasso, infatti, in greco indica un’agitazione profonda. Una sorta di tempesta emotiva scuote il cuore degli apostoli, che comprendono di essere alla soglia di un evento al tempo stesso grandioso e doloroso.
La paura, l’incertezza prendono il sopravvento; cercano una risposta che possa calmare il loro cuore in tumulto, facendo cadere quasi inascoltato il “non sia turbato il vostro cuore” detto da Gesù. Come non ritrovarci anche noi nei dubbi degli apostoli? Proprio come gli apostoli, vorremmo avere certezze. E Gesù non si sottrae di certo, scandalizzato dai nostri dubbi; anzi mostra ancora una volta il suo amore e la sua comprensione per i suoi pronunciando l’“Io sono”, con la fermezza della verità e la tenerezza di chi vuole placare il cuore spaventato di chi ama. “Io sono la via, la verità e la vita”: questa la solida roccia su cui fondare il “non temere”.
Di fronte alle paure della vita, a una crisi matrimoniale, alla malattia di un figlio, alle incomprensioni con le famiglie d’origine, quando ci sentiamo vuoti e persi, l’unica indicazione da seguire è questa che ci annuncia il Vangelo di Giovanni. Gesù è via. Domenica scorsa abbiamo compreso che è porta della felicità; ancora una volta ci viene detto che è via, ossia cammino da compiere, orizzonte aperto a mete forse a noi ancora sconosciute e temute, ma che Lui ci dice bellissime; percorso di crescita e maturazione. Gesù è verità. Non precetto ma verità libera e liberante; verità amorevole che non s’impone, ma ricerca e accompagna. Gesù è vita. Sì, perché, se domenica ha detto che con Lui avremo la vita in abbondanza, oggi lo ribadisce. È lui la nostra vita, perché è in lui e con lui che ne troviamo la pienezza. Perché lui è l’Amore con la A maiuscola, quello che dal latino letteralmente comprendiamo “senza morte” (a-mors).
Segue poi la domanda di Filippo che vogliamo sottolineare: “Signore, mostraci il Padre e ci basta”. Ci intenerisce profondamente lo smarrimento degli apostoli, che sembrano non aver ancora compreso; tuttavia cogliamo in quest’ulteriore richiesta anche la voglia non sopita di comprendere, di conoscere l’Amore, quello vero, nonostante i limiti e la fragilità della propria umanità. Ancora una volta Gesù non si adira, ma torna a spiegare, a ricordare agli apostoli, ma anche a ognuno di noi, la Verità. “Chi ha conosciuto me, ha conosciuto il Padre”. Quale Dio è il Padre della nostra famiglia, delle nostre vite? Quante volte ci costruiamo di Lui un’immagine distorta? Gesù ci viene a dire con forza che il Padre dei cieli, che ha atteso per anni di essere compreso dal Suo popolo, si è rivelato una volta per tutte in suo Figlio, in un uomo, in uno sguardo d’amore, in mani che guariscono, in parole che cambiano la vita, perché potessimo non fraintenderlo più.
Allora dobbiamo solo avere il coraggio d’incontrare la Verità. Come ha detto Papa Francesco, “la Verità non si afferra come una cosa. Non è un possesso, è un incontro con una Persona”. Quella persona è Gesù, e in lui e con lui incontriamo il Padre, e la nostra vita cambia. Guardiamo Gesù, osserviamo come perdona, come ama, come accoglie, come muore, e comprendiamo Dio; e anche noi dobbiamo perdonare, amare, accogliere, morire per amore, nella vita e nella nostra famiglia. Non c’è altra certezza da seguire. Allora saremo in grado di realizzare la promessa contenuta al termine di questo Vangelo: “Chi crede in me, compirà le opere che compio io e ne compirà di più grandi”. L’Amore, quello vero, ci chiama a cose grandi: dobbiamo solo avere il coraggio della fede per crederci e lasciarci plasmare da Lui.