Il Vangelo di questa domenica prolunga la gioia del tempo pasquale, annunciando di nuovo la grazia sanante del Risorto. Come nei vari episodi che raccontano le apparizioni di Gesù dopo la risurrezione, anche questo parte da una situazione di delusione e scoraggiamento. La stanno vivendo i discepoli di Emmaus; una speranza finita e non a caso coniugata al passato: “Noi speravamo che fosse Lui a liberare Israele” (v. 21). È accaduto così anche per Tommaso, domenica scorsa; accade così anche agli apostoli al lago di Tiberiade, o alla Maddalena che cerca il suo Signore pur avendocelo davanti.
Eppure Gesù non si stanca di ascoltarci, di prenderci per mano e di ricondurci alla speranza, quella vera; con infinita tenerezza, si piega sui dolori e le delusioni di ciascuno di noi. Il brano di Luca racconta il percorso di trasformazione dei due, una vera e propria inversione di marcia, un “passaggio” pasquale che rende la loro vita di nuovo piena, gioiosa a tal punto da riconsegnare loro la dignità di apostoli in missione. Merito di questo cambiamento sono i gesti e le parole dello Sconosciuto che a poco a poco si svela come il Signore, capace ancora una volta di “scaldare il cuore” impietrito dalla paura e dal dolore, e di sfamarli del pane che dona la vita vera. Bellissima icona, quella dei discepoli di Emmaus, che parla a noi tutti di un Signore che non impone mai la sua presenza e la sua gloria, ma pazientemente attende che siamo noi capaci di riconoscerlo, facendo esperienza di Lui.
Allora questo Vangelo è per tutti coloro che sono nella tristezza e che faticano a convertirsi alla gioia della Pasqua; è per le nostre famiglie, appesantite lungo le strade della ferialità, che si sentono sole nella fatica e nel dolore. Ci piace trasformare i due discepoli di Emmaus in una coppia di sposi. Una coppia come tante, che ha fatto una scelta importante, lasciando il proprio paese e le proprie abitudini, mettendosi alla sequela di Gesù, riconosciuto come Salvatore della storia e della loro vita, della loro relazione di sposi. Una coppia che con generosità e passione ha deciso di lasciare tanto del suo umano per farsi plasmare da Qualcosa, meglio, da Qualcuno, di divino. Ebbene, dopo pochi giorni dall’essere stati osannati insieme al Signore nella domenica delle Palme (per il loro impegno, per essere una “bella famiglia”), si ritrovano ai piedi della croce, si ritrovano essi stessi inchiodati: cosa che non avrebbero mai voluto.
Allora ecco che si insinuano sentimenti negativi. La frustrazione per la scelta di un cammino alla sequela del Signore, che ha portato al Venerdì santo e sembra essersi concluso sulla croce del Golgota. La delusione di una storia che non si è realizzata come la pensavano. La tristezza di dover tornare alle attività di tutti i giorni (Emmaus) invece di restare per sempre nella città santa di Gerusalemme. È vero, è dura. Allora, come i discepoli di Emmaus, ci ripieghiamo in noi stessi, incapaci di fare altro se non passarci e ripassarci la tristezza che alberga nel nostro cuore, dimentichi che il Signore risorto può “fare nuove tutte le cose” (Apoc 21,5).
Ma ecco la bella notizia che ci arriva dalla Parola di questa domenica: Lui non ci lascia soli, così come non ha lasciato soli quei due discepoli “dimissionari”. Se avremo il coraggio di aprirgli ancora una volta il nostro cuore, ci scopriremo nuovi nel cammino, capaci di “ruminare” non solo ciò che ci spaventa, ma anche la Parola in grado di donare nuova forza al cuore; capaci di chiedere il Pane, che può renderci di nuovo saldi nella nostra speciale chiamata all’amore e per l’Amore. Allora, e solo allora, saremo anche noi in grado – come i protagonisti dell’icona evangelica – di una memoria rivolta al futuro, non nostalgica. Allora e solo allora la sua Pasqua sarà anche la nostra, e la storia della nostra famiglia una storia di salvezza. Allora e solo allora potremo finalmente dirci convertiti alla gioia vera.