Gesù ha sete: chiede acqua alla donna, e quest’ultima trova subito difficoltà per un puro pregiudizio umano, dato che non era lecito che vi fossero rapporti tra giudei e samaritani… figuriamoci poi tra un uomo della Giudea e una donna della Samaria! Il piano di Dio va al di là dei nostri preconcetti. Dio non ha paura di compromettersi quando si tratta di incontrarci. Quante situazioni nella nostra vita sono simili a questa: il diverso, l’emarginato, il povero sono persone da cui è più facile stare lontani. Gesù fa saltare ogni steccato ideologico. Come lui, anche noi dovremmo essere una “comunità evangelizzatrice” che “sperimenta che il Signore ha preso l’iniziativa, l’ha preceduta nell’amore… e per questo essa sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi” (Evangelii gaudium, 24).
Il pretesto della richiesta dell’acqua diviene per il Signore occasione per rivelarsi: è lui che chiede da bere l’acqua del pozzo, ma i ruoli si invertirebbero se la donna si rendesse conto di chi è veramente colui che ha davanti. Sarebbe lei, allora, per prima a chiedere l’acqua viva! La samaritana ancora non intuisce, tant’è vero che lo prende quasi in giro: come può attingere l’acqua dal pozzo se non ha un secchio? Gesù allora continua nuovamente a persuadere la donna. L’acqua infatti che gli offre le permetterà di non avere più sete. La samaritana rimane però sullo stesso piano di prima; non è più interessata al mezzo per attingere, ma quest’acqua, ora, è per lei “conveniente”: “Dammi quest’acqua… perché non continui a venire qui”. Possiamo anche noi confondere inizialmente Gesù come un semplice risolutore di ogni nostro banale problema materiale, come un tuttofare a nostro piacimento. È un livello di fede infantile che cade con il primo temporale, che si scioglie come cera al fuoco, appena, per esempio, veniamo coinvolti in una situazione di difficoltà e di umana sconfitta e, magari, ci poniamo anche la domanda: Signore, come puoi permettere tutto questo?
Gesù non vuole rimanere su questo piano e sposta il discorso formulando una richiesta emblematica: “Va’ a chiamare tuo marito”. La donna però non ce l’ha, e questo il Maestro lo sa; infatti le rivela che “hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito”. A questo punto la samaritana capisce che Gesù le sta parlando su un piano diverso rispetto a quello che ha inteso finora. Il termine “marito” non solo intende lo sposo ma, in questo contesto, acquisisce un senso più ampio. I cinque mariti simboleggiano altrettanti dèi, cioè l’idolatria che regnava in quella zona a popolazione mista. Il Signore a questo punto, da semplice giudeo, agli occhi della donna diviene profeta; e dall’allegoria dell’acqua del pozzo il discorso passa a considerazioni sulle diversità di culto tra giudei e samaritani. Gesù prospetta un cambiamento radicale: il culto di Dio, infatti, non avrà più un luogo privilegiato. Gesù stesso è il nuovo santuario (Gv 2,19-22) da cui sgorga l’acqua dello Spirito (Gv 7,37-39; 19,34), è Lui la salvezza.
Per adorare Dio non conta una particolare costruzione architettonica, ma l’atteggiamento dell’uomo che si rapporta con lui “in spirito e verità”. Non si adora più un Dio lontano, ma un Dio, chiamato Padre, che si è reso vicino all’uomo grazie all’incarnazione di Gesù. Adorare il Padre “in spirito e verità” nobilita anche tutti quei contesti in cui spesso pensiamo che Dio non ci sia. Possiamo invece incontrare il Signore anche nel nostro quotidiano, nei luoghi più diversi, in famiglia, sul lavoro, nei rapporti con gli altri. Lui fissa il suo sguardo su di noi e, come con la samaritana al pozzo, sfrutta tutte le occasioni, anche le più normali, per rivelarsi. Dobbiamo però essere disponibili a fermarci un attimo per parlare con Lui. Ogni nostra condizione, in qualunque stato di vita, da ordinaria diventa straordinaria grazie alla Sua presenza.